La lunga maratona del consiglio europeo si è conclusa con la vittoria di tutti. L’asse Franco tedesco ha dimostrato ancora una volta di avere la capacità politica di contenere spinte disgregative della Unione presenti in quasi tutti gli Stati membri. Inoltre la vittoria di tutti è stata consentita dal fatto che ciascuno rinunziasse a qualcosa della propria linea e così si è formato quel compromesso tra interessi diversi ed idealità e culture non omologabili tra loro che rappresenta la vera forza della Unione Europea. Onore dunque alla Merkel e a Macron e plauso anche al nostro presidente del Consiglio che sotto l’ombrello franco-tedesco ha tenuto ferma una linea di interesse generale senza mai rispondere a provocazioni. Attenti, però, perché una rondine non fa primavera. La Ue non è in buona salute e continua a esserlo anche nonostante il buon compromesso raggiunto, peraltro facilitato da un male comune, il contagio da Covid-19. Lo stato di precarietà che in questi ultimi due o tre lustri ha spesso portato a un immobilismo della Unione ha il suo punto più evidente di crisi proprio nell’attività del Consiglio dei capi di stato e di governo. Da molto tempo infatti nel consiglio si negoziano posizioni e interessi dei singoli stati nazionali senza che mai vi fosse un pensiero di respiro europeo che dominasse la scena.
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