Sui banchi anche Scavolini scarica Arcuri
L'azienda marchigiana risponde alle indiscrezioni del Fatto quotidiano: "Non abbiamo mai prodotto un banco in vita nostra. Non lo faremmo neanche se ce lo chiedessero". Anche il gruppo Fantoni smentisce
Deve essere un altro bluff, anche questo di breve durata. Due giorni fa, a un giorno dalla scadenza del bando, dovevano essere le imprese estere a salvare i banchi scolastici, garantendo i famosi 3 milioni di banchi monoposto (con e senza rotelle). Era questo il messaggio che il commissario per l’emergenza Covid Domenico Arcuri e il governo inviavano ai produttori nazionali, che avevano annunciato di disertare la gara perché le richieste erano impossibili: “Il governo è certo di poter riaprire le scuole il 14 settembre perché a produrre i banchi anti-Covid ci penseranno le aziende straniere”, diceva l’Huffington post. Dopo poche ore, Arcuri è stato costretto a svelare il bluff rinviando di cinque giorni la scadenza del bando “al fine di favorire la massima partecipazione”. Le aziende non si sono fatte avanti, né quelle italiane né quelle straniere. Ora la giostra riparte, e a cinque giorni dalla scadenza del nuovo bando un altro giornale scrive che i salvatori non sono più stranieri ma italiani: “A salvare la scuola – scrive il Fatto quotidiano – potrebbero arrivare i colossi. Sono le più grandi aziende italiane del legno (nomi come Scavolini o Fantoni) che ora valutano di partecipare al mega-bando per la fornitura di banchi entro settembre, dopo che ieri il commissario all’emergenza Domenico Arcuri ha prorogato la scadenza al 5 agosto”.
“Come azienda Scavolini – dice al Foglio Fabiana Scavolini, amministratore delegato del gruppo – non è una cosa che ci riguarda. L’abbiamo letto sui giornali. Ma non abbiamo pensato a una cosa del genere, né siamo stati coinvolti o ci è stato richiesto di farlo. E non ci metteremmo a farlo neanche se ce lo chiedessero perché noi facciamo cucine, non arredo scolastico”. Magari è un’ipotesi che state valutando, come dice il Fatto? “Non c’è niente di vero, nel senso che non abbiamo mai fatto questa tipologia di produzione. Fare dei banchi per la scuola non è semplice, serve un’esperienza e anche delle certificazioni”. Alla fine un banco scolastico è più semplice di una cucina, non è un prodotto che potete iniziare a fare adesso? “Niente si può improvvisare, men che meno ciò che coinvolge la scuola”. Quindi questi 3 milioni di banchi in un mese non li farà nessuno? “Non entro in questa discussione, l’hanno fatto già in tanti. Posso parlare per la nostra azienda – prosegue Fabiana Scavolini – non ci siamo e non ci possiamo essere. Non abbiamo mai prodotto un banco in vita nostra, non conosciamo minimamente quali siano gli iter produttivi. Ci sono fior fiore di aziende, che appartengono ad Assoufficio, che fanno professionalmente questo lavoro. Sono loro a poter dire se si può fare, in che modo e in quali quantità in tempi così stretti”. Come si risolve questo problema? “Ripeto, bisogna parlare con chi sa fare questo lavoro. In linea di massima, bisogna organizzare tutta la filiera produttiva a partire dai fornitori”.
Una smentita analoga arriva anche da Fantoni, l’altro colosso evocato come “salvatore” della scuola. “La notizia è priva di fondamento – dice al Foglio Paolo Fantoni, amministratore delegato del gruppo leader nella produzione di pannelli in Mdf e truciolare – non so da dove nasca questa informativa. Non abbiamo mai dato alcuna indicazione in tal senso. E’ solo vero che qualche azienda ci ha chiesto la disponibilità di pannelli, ma dire che noi partecipiamo alla gara è infondato”. Qualcuno ce la farà a produrre questi banchi per settembre, così come richiesto da Arcuri e dalla ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina? “Non è così facile. Non sono a dirle di sì o di no. Sono quantitativi estremamente rilevanti e siamo in mezzo alle ferie. Soprattutto c’è un problema di logistica: è difficile che qualcuno possa rispettare i tempi così stretti per la consegna di volumi e quantitativi così grandi”. Un altro bluff è stato svelato in poche ore. Ma se non sono le piccole e medie imprese né le aziende straniere e neppure i “colossi” italiani, chi salverà la scuola?