Landini da un lato chiede un nuovo “modello di sviluppo” – che non si sa bene cosa voglia dire –, dall’altra chiede assieme agli altri sindacati di congelare l’economia così com’è, ciò che avverrebbe con la proroga del blocco dei licenziamenti. L’interruzione del rapporto di lavoro è sempre un evento traumatico, ma si sono trovati dei modi per renderlo meno traumatico, non per poterne fare a meno. L’economia cresce solo se vi è una continua e rapida ricollocazione di risorse, persone e capitali, da imprese in declino a imprese in espansione. Inoltre, tutti hanno capito ormai che dalla crisi del Covid si esce con cambiamenti rilevanti della struttura produttiva. Non si profila certo “il sol dell’avvenire”, come forse vagheggia Landini, ma certo ci saranno cambiamenti più rilevanti di quelli usuali. Già prima del Covid gli analisti valutavano che la nostra crescita potenziale, ossia sostenibile nel tempo al di là delle oscillazioni congiunturali, fosse vicina allo zero. Arriveremmo sotto allo zero se impedissimo alle imprese di ristrutturarsi, anche riducendo o aumentando il personale. Pensiamo ai treni, al trasporto locale, agli aerei, ai ristoranti, agli alberghi, ai musei, a tutto il grande indotto del turismo e dei viaggi di lavoro che vengono cancellati, nonché a tutte le imprese che forniscono questi settori: è evidente che queste imprese saranno costrette a ridurre il loro fatturato per molto tempo e avranno bisogno di meno personale. Per contro, ci saranno settori in espansione che avranno bisogno di nuovi dipendenti: ad esempio, i due settori su cui puntano gli incentivi europei, il verde e il digitale, la sanità e tanti altri. All’interno di ogni settore ci saranno poi imprese che si espandono e imprese che soffrono: ad esempio, la diffusione, in parte strutturale, del lavoro da casa tende a penalizzare gli esercenti collocati nei centri storici, dove ci sono gli uffici, e favorisce i negozi collocati dove la gente abita.
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