Fare cassa da parte dello stato con la blanda scusa, irrealistica, dell’ambiente. In un momento in cui l’economia prova disperatamente a ripartire
Roma. Tutti ma proprio tutti sanno che le accise, meglio le tasse, sui carburanti sono da sempre uno dei più efficienti modi di fare cassa da parte dello stato italiano. Non si possono evadere e vengono prontamente riscosse ogni volta che rabbocchiamo il contenuto dei serbatoi dei nostri veicoli. L’attuale accisa incorpora in verità 17 accise diverse che hanno finanziato, fin dagli anni 30 del Novecento, guerre, alluvioni e terremoti. Dalla metà degli anni 90 sono state tutte assorbite da una unico capitolo di entrata senza vincoli. Comunque il risultato finale è il seguente: accisa sulla benzina 72,84 centesimi, accisa sul gasolio 61,7. Più Iva. Un salasso che moltiplica per tre il costo reale dei carburanti e che costituisce la quarta entrata fiscale dello stato (25 mld). Ora in questa situazione sostenere che il gasolio sia incentivato fiscalmente solo perché paga un accisa di 10 centesimi minore di quella sulla benzina è un azzardo mentale strepitoso. Per continuare su questa strada potremmo aumentare le tasse sul lavoro nel Nord Italia per favorire le assunzioni al Sud. O aumentare le tasse alla scuole private per favorire quelle pubbliche. Il problema sarebbe per altro risolvibile con un gesto uguale e contrario: diminuire di 10 centesimi l’accisa sulla benzina e rimettere tutto in pari. Oppure aumentare di 5 centesimi quella sul gasolio e diminuire di 5 centesimi quella sulla benzina.
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