E se il Covid portasse a una nuova età dell’oro? “Andrà tutto bene”, è stato uno slogan del lockdown. In senso figurato, in molti hanno provato a immaginare che dalla sfida della pandemia potesse infatti venire fuori una umanità migliore. Più solidale; più legata ai valori della famiglia e rispettosa delle generazioni; più attenta alla vivibilità; più “sostenibile”; di nuovo capace di farsi il pane in casa e di cantare sui balconi, sotto cieli più puliti. Utopie a parte, vari pensatori iniziano a scrivere saggi in cui sostengono che la pandemia potrà fare da potente acceleratore del cambio sociale: a partire dal definitivo sdoganamento dello smart working. E’ un libro del 2013, ma un riferimento obbligato potrebbe essere a Perché le nazioni falliscono, di Daron Acemoglu: quando spiega il ruolo della peste nera nel distruggere le basi della “società estrattiva” feudale in Inghilterra, e nel far nascere istituzioni “inclusive” che avrebbero finito per contagiare positivamente per lo meno quella parte del mondo che oggi sta meglio. Altri intellettuali, a partire da Mario Vargas Llosa e Bernard-Henry Levy, stanno invece avvertendo di come tra un divieto e l’altro ci sia un nuovo autoritarismo in agguato, a parte i rischi di carestia e miserie di cui avvertono varie agenzie Onu. Insomma, altro che età dell’oro!
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