Nel Dopoguerra, con un decreto luogotenenziale (n. 523/1945), si decise di introdurre un divieto di licenziamento che durò, in una prima fase, da fine agosto a metà ottobre 1945 e, in una seconda fase, sino al 30 aprile 1946. Complessivamente il divieto di licenziamento, motivato dalla sconfitta bellica italiana e dalla distruzione (anche in senso letterale) di quasi tutto il sistema produttivo nazionale, durò circa otto mesi. La norma del 1945 era ben strutturata: oltre a fissare alcune eccezioni (il divieto non si applicava ai lavoratori che avessero rifiutato di accettare un’offerta congrua di lavoro e alle posizioni professionali coinvolte in crisi aziendali gestite dalla contrattazione collettiva), si determinava, da una parte, un meccanismo conciliativo-arbitrale per le eventuali controversie individuali e, dall’altra, un prototipo di politiche attive collegato al sostegno al reddito (costituzione del cosiddetto “ruolo dei lavoratori in aspettativa”).
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