Roma. Il capitalismo cambia, come sempre, come nella sua natura, e per capire come bisogna guardare all’indice Dow Jones. Ogni volta che il club dei primi trenta titoli azionari quotati alla borsa di Wall Street, iscrive o cancella una società, l’intero Gotha della finanza e dell’economia mondiale ha un sussulto. L’ultimo rimpasto, annunciato lunedì, ha fatto davvero notizia. Esce la Exxon Mobil, il colosso petrolifero mondiale che una decina di anni fa era al primo posto tra le blue chip, erede della Standard Oil fondata da John Davison Rockefeller, l’americano più ricco di tutti i tempi (ai valori odierni avrebbe un patrimonio sei volte superiore a quello di Jeff Bezos). Per molti versi è una scelta simbolica, non solo tecnica, la conferma che l’era degli idrocarburi volge al termine (sia pur in un tempo medio-lungo) per far posto all’era digitale, poiché il titolo viene sostituito da Salesforce, una delle maggiori imprese nel business del cloud. Con la Exxon lasciano la collana due altre perle: niente meno che Pfizer tra i primi gruppi farmaceutici mondiali e Raytheon protagonista nell’industria della difesa. Vengono rimpiazzati da Amgen, nata negli anni ’80 con il boom delle biotecnologie e considerata da Business Week “l’azienda più orientata al futuro”, e da Honweywell che spazia tra l’automazione, l’aeronautica, i materiali speciali. Anche loro sono frutto di questa grande trasformazione, anzi si può dire che la Honeywell l’ha introiettata più volte. Quando nel 1896 Charles Dow, il fondatore del Wall Street Journal, e lo statistico Edward Jones pubblicarono il primo indice, tra le 12 compagnie delle quali era allora formato c’erano i giganti della gomma, dello zucchero, del tabacco, delle ferrovie, dell’elettricità. Il petrolio sarebbe arrivato dopo. C’era anche la General Electric, unica superstite perché ha saputo accompagnare i mutamenti del sistema.
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