Roma. E’ il calcio di inizio, è un cammino che ricomincia dopo 25 anni e dieci amministratori delegati, un passo per colmare il fossato digitale che divide l’Italia e la separa dagli altri paesi industrializzati. L’accordo per avviare il percorso a ostacoli verso la rete unica è stato accolto quasi ovunque con sollievo e speranza. Per Beppe Grillo, che vuole la statalizzazione integrale, occorreva più coraggio ma anche lui in sostanza approva. Se si tratta di una spinta alla modernizzazione, sia pure dando vita a un centauro in parte pubblico e in parte privato (come Enrico Cuccia definì la sua Mediobanca), ebbene anche i puristi potrebbero turarsi il naso. Se invece nasconde di nuovo una pubblicizzazione delle perdite, allora è tutt’altra faccenda. Il “capitalismo paziente”, teorizzato da Fabrizio Palermo nell’intervista di ieri al direttore della Repubblica Maurizio Molinari, è senza dubbio un ossimoro, tuttavia ne abbiamo viste di peggio. L’amministrazione delegato, inoltre, si impegna affinché la Cassa depositi e prestiti operi “secondo criteri privatistici” e ricorda che investe “tutti soldi privati” anche se lo fa seguendo le indicazioni del governo. Molte cose restano da chiarire. Lunedì è stato annunciato che Tim scorpora la sua rete secondaria (quella che va dagli “armadi” alle case) e la passa a una società chiamata FiberCop nella quale entrano Fastweb, conferendo la sua rete, e il fondo Kkr che porta denaro liquido (1,8 miliardi per il 37 per cento delle azioni). Tim avrà il 50,1 per cento. Cdp, azionista di Tim, eserciterà il ruolo di garante in vista della seconda fase, la più importante e complessa, che dovrebbe partire entro il prossimo marzo. Si tratta di fondere FiberCop e Open Fiber, controllata al 50 per cento dalla stessa Cdp e dall’Enel, per dar vita a una nuova società chiamata AccessCo che comprenda in prospettiva anche la rete primaria e venga cogestita da Tim e Cdp.
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