Idrogeno sì, blackout ed Edison no. Cosa sull'energia fa notizia in Italia?
Se ne cominciò a parlare come “combustibile alternativo” dopo la prima crisi petrolifera del 1973 ma solo nell’Energy and policy act del 1992 venne inserito tra le opzioni rinnovabili. Con la proposta della Commissione europea di avviare un’Hydrogen strategy, il tema è rientrato nel dibattito
A chi segue quotidianamente le vicende dell’energia sorge spesso un interrogativo: cosa rende nel nostro paese una notizia sull’energia notiziabile? Perché di un importante evento non se ne parla affatto mentre di un altro, pur meno rilevante, ne sono piene le pagine dei giornali? Un argomento ad esempio ultra trattato di questi tempi è il resuscitato idrogeno, nelle sue diverse colorazioni (grigio, blue, verde). Se ne cominciò a parlare come “combustibile alternativo” dopo la prima crisi petrolifera del 1973 ma solo nell’Energy and policy act del 1992, sotto la presidenza di George Bush senior, venne inserito tra le opzioni rinnovabili. Molti denari spesi, nessun risultato. Se ne riparlò all’inizio del millennio col bestseller del guru Jeremy Rifkin “Economia dell’Idrogeno”, ove ne profetizzava a breve un trionfo, così che si sarebbe finalmente affermato “il primo regime energetico veramente democratico”. Non ne seguì nulla, confermando l’infima considerazione che la comunità scientifica aveva delle teorie rifkiniane, che Pierre Bacher dell’Académie technologies francese bollò come “pieno delirio!” e “pericolosa utopia”. Di idrogeno si è ripreso a parlare di questi tempi, con la proposta della Commissione europea di avviare un’Hydrogen strategy tesa ad accrescere la quota del vettore idrogeno generato da rinnovabili (color verde) da zero sino a un quarto della domanda di energia. Quel che richiederebbe investimenti per centinaia di miliardi di dollari, un drastico calo dei suoi costi di produzione, una modifica della regolazione dei trasporti per rispettare appieno, quel che oggi non avviene, la separazione rete-servizi.
Al di là di queste pesanti difficoltà, resta l’interrogativo perché un’opzione tecnologica dal passato infelice, ma forse con un lontanissimo futuro luminoso, debba ritenersi preferibile nella comunicazione a fatti nel presente che hanno molto maggior rilevanza. Di due, in particolare merita riferire. Il primo riguarda i ripetuti blackout elettrici che stanno affliggendo l’avanzatissima California causati in parte dal gran caldo ma soprattutto da un eccesso di produzione delle discontinue rinnovabili, cui l’insufficiente potenza suppletiva non ha potuto porre rimedio. Sul far della sera, 250-300 mila famiglie, per oltre 3 milioni di persone, restano al buio con un sistema di distacco a rotazione (rolling blackout) per evitare il collasso della rete. Contemporaneamente, il prezzo all’ingrosso dell’elettricità nel mercato californiano è schizzato sino a 3.800 doll/kwh!: 95 volte quello italiano negli stessi giorni di metà agosto. E’ curioso notare come al blackout che l’8 settembre 2011 colpì la città di San Diego, la nostra stampa nazionale riservò molti articoli, mentre questa volta si è ritenuto di non parlarne nonostante i dissesti siano peggiori. Sarebbe invece importante farlo, se non altro per rimarcare la miglior situazione in cui ci troviamo, grazie a una maggior potenza suppletiva e a una miglior regolazione. Seconda notizia: la situazione di crisi in cui versa l’ex monopolista elettrico francese Electricitè de France (EdF). Se il Covid ha messo in ginocchio soprattutto l’industria degli idrocarburi, quella elettrica, nei segmenti di mercato non regolati, non se la passa molto meglio schiacciata tra caduta della domanda, dei prezzi e dei margini.
A esserne colpita è anche EdF: società anonima a capitale pubblico e quotata in borsa. I quotidiani francesi hanno riportato il mese scorso la notizia della decisione della società di adottare un severo piano di economie, battezzato “Mimosa”, dell’ordine di diversi miliardi di euro, per fronteggiare le criticità previste nel prossimo triennio, evitando una nuova ricapitalizzazione da parte dello stato azionista. Il campione nazionale francese è oberato da alti debiti e dall’esplosione dei costi di costruzione della centrale nucleare di Flamanville, previsti inizialmente in 3,4 miliardi euro, oggi rivalutati a 19,1 miliardi (Enel, ricordiamolo, sosteneva di riuscirvi con appena 3 miliardi…). Ora, oltre alla riduzione dei costi operativi e degli investimenti, EdF ha messo in conto, scrive Le Monde, anche la “cessione di importanti attivi” tra cui, ha precisato Le Figaro, “la sua partecipazione nel gruppo italiano Edison”. EdF non ha smentito l’indiscrezione. Che non se ne sia trattato sui media è davvero sorprendente per l’impatto che avrebbe sul sistema e sul mercato elettrico italiano. Vale allora riavvolgere il nastro, a quando il governo italiano presieduto da Giuliano Amato – ministro dell’Industria Enrico Letta – emanò il 25 maggio 2001 il decreto legge n. 192, con l’assenso del subentrante governo Berlusconi – ministro dell’Industria Antonio Marzano – volto a congelare (al 2 per cento) i diritti di voto a Edf che aveva acquisito (in Borsa) il 20 per cento di Montedison, controllante di Edison, divenendone così il primo azionista davanti a Mediobanca. La ragione? Tutelare, si sostenne, la concorrenza nel mercato elettrico da poco liberalizzato (nonostante Enel ne controllasse ancora il 75-80 per cento); impedire che un’impresa estera – per giunta pubblica e quasi-monopolista nel mercato d’origine – acquisisse il controllo di una nostra impresa privata.
Massimo Motta, accademico e grande esperto di antitrust, in un interessante dibattito sulla rivista “Mercato, concorrenza, regole” sostenne invece la tesi che la reazione italiana fosse dovuta a un “atteggiamento di tipo nazionalista o protezionista, di gente spaventata dal fatto che un operatore straniero potesse avere una parte importante sul mercato italiano”. Insomma: una misura non a difesa del mercato, della concorrenza e dei consumatori, ma a protezione di Enel. Comunque siano andate le cose, EdF acquisì nel 2002 il controllo di Edison: seconda-terza impresa elettrica che opera in Italia, con un solido radicamento nel paese, importanti assets sia nell’elettricità che nel metano, forte presenza nel mercato finale. Un attore quindi centrale nel panorama elettrico del nostro paese. Dalla sua cessione, se confermata, potrebbero derivarne consolidamenti che potrebbero modificare la geografia industriale del nostro mercato elettrico, in vista della sua prevista piena liberalizzazione. Buone ragioni per parlarne.