Il 9 novembre, il giorno stesso in cui Pfizer ha annunciato gli ottimi dati provvisori sull’efficacia del suo vaccino nella terza fase di sperimentazione, l’amministratore delegato Albert Bourla ha venduto parte delle sue azioni Pfizer, a un prezzo vicino ai massimi, con un ricavo di 5,6 milioni di dollari. Se avesse venduto il giorno prima, il ricavo sarebbe stato inferiore di 800 mila dollari. C’è chi ha gridato allo scandalo e lo ha accusato di aver così lucrato sulla pandemia. Altri hanno chiamato in causa l’insider trading o perlomeno la tempistica alquanto sospetta dell’annuncio. La prima accusa è di ordine puramente morale: è indubbio che parte del profitto di Bourla sia derivato da un balzo del prezzo delle azioni Pfizer che ha anticipato la messa sul mercato del vaccino contro il Covid-19. Senza la malattia, dunque, il profitto sarebbe stato con ogni probabilità inferiore. Ma se questo profitto è immorale, bisogna mettere in dubbio la moralità di tutti i profitti delle industrie farmaceutiche per qualunque cura. E’ una condanna morale poco meno che dell’intero sistema capitalistico, che ciascuno è libero di condividere o meno a seconda delle proprie convinzioni ideologiche.
Abbonati per continuare a leggere
Sei già abbonato? Accedi Resta informato ovunque ti trovi grazie alla nostra offerta digitale
Le inchieste, gli editoriali, le newsletter. I grandi temi di attualità sui dispositivi che preferisci, approfondimenti quotidiani dall’Italia e dal Mondo
Il foglio web a € 8,00 per un mese Scopri tutte le soluzioni
OPPURE