La firma dell’accordo, già rinviato lo scorso 30 novembre, tra ArcelorMittal e Invitalia attraverso cui lo stato diventa socio al 50% dello stabilimento siderurgico più grande d’Europa segna una nuova pagina dell’acciaio a Taranto. Che si spera sia molto diverso da quelle precedenti. Perché forse in molti non ricordano che la proprietà privata dell’Ilva è stata solo una parentesi di 17 anni tra 36 di gestione pubblica, prima 30 anni di Italsider dal 1965 al 1995 e poi 6 di commissariamento e amministrazione straordinaria. Due esperienze da non ripetere, sia dal punto di vista della performance economica sia da quella della messa in sicurezza degli impianti sia per gli investimenti ambientali. Che infatti hanno portato a due privatizzazioni. La prima nel 1995 ai Riva, finita a causa di una serie di inchieste giudiziarie (proprio ieri è stato assolto, anche in appello, l’ex patron Fabio Riva dall’accusa di bancarotta), e la seconda nel 2018 al colosso mondiale ArcelorMittal, terminata anche in questo caso per incertezza del quadro giuridico (scudo penale) oltre che per il contesto economico. Fallita la soluzione privata sia nazionale che internazionale, ecco allora che torna in campo lo stato, con Invitalia dell’onnipresente Domenico Arcuri. Ma con quale progetto?
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