Visione strategica, riforme, ricadute sociali ed economiche dei progetti in cantiere. Sono i grandi assenti del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), con cui l’Italia si gioca la sua occasione per ripartire e diventare un paese più forte e competitivo per i prossimi decenni. A sottolineare le lacune del piano sono gli esperti con cui abbiamo analizzato i diversi ambiti di intervento di cui si compone, chiedendo loro di valutare l’efficacia dei progetti e degli investimenti. Il quadro – tracciato in maniera trasversale dai nostri interlocutori – è piuttosto omogeneo e si può riassumere così: il Recovery italiano è ancora una scatola vuota, che si regge su macro obiettivi condivisibili di cui non si conoscono le modalità di attuazione né gli impatti sull’economia e sul territorio, ma di cui si scorgono già diversi limiti: non solo il rischio di restare intrappolati nei colli di bottiglia tipicamente italiani, ma anche la mancanza di coesione tra ambiti di intervento che andrebbero coordinati per ottenere risultati più efficaci e di lunga durata. E così, nonostante la bozza del piano e la tabella che dettaglia i 52 progetti, a meno di due mesi dalla data indicata ieri da Giuseppe Conte per la presentazione del documento a Bruxelles, restano più dubbi che certezze sulla capacità dell’Italia di mettere a frutto i 209 miliardi del Next Generation Ue.
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