Il nuovo record raggiunto dalle azioni di Tesla, che ieri hanno superato quota 800 dollari, porta con sé una vecchia domanda: com’è possibile che una casa automobilistica che produce appena 500 mila vetture possa avere una capitalizzazione maggiore di quelle Toyota, Volkswagen, Hyundai, Gm e Ford messe insieme? Certo, è stato un anno positivo per gli stabilimenti di Elon Musk, che hanno superato le aspettative degli analisti arrivando a un passo dall’obiettivo di produrre mezzo milione di vetture. Ma si tratta di un numero comunque molto modesto, specie se rapportato ai milioni dei maggiori gruppi automobilistici, che rivela alcuni dei limiti tecnologici dell’azienda. “Se la si vede da una prospettiva di car maker è chiaro che Tesla ha molte debolezze dal punto di vista industriale”, dice al Foglio Andrea Stocchetti, docente di Analisi della concorrenza presso il dipartimento di Management dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e membro del comitato scientifico del Center for Automotive and Mobility Innovation (Cami). “Non è percepita come un’azienda che ha un particolare know how tecnologico in campo automotive, anche perché i motori elettrici hanno una minore complessità rispetto a quelli tradizionali. Inoltre, l’indice di difettosità di Tesla è molto penalizzante rispetto a quello di altri produttori che vendono auto nelle stesse fasce di prezzo”.
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