Rispetto alla bozza prenatalizia che era circolata, si ha l’impressione di uno sforzo maggiore. Ma è sufficiente? In alcuni ambiti, il risultato è deludente: per esempio, sulla transizione verde erano stati identificati dei progetti, mentre ora ci sono delle formule vaghe. E soprattutto ha qualche chance di essere presa in considerazione dalla Ue? Partiamo dai limiti macro: è una nostra esigenza, per fortuna rimarcata dalla Commissione Ue, la necessità di accompagnare il piano da riforme vere. Le riforme sono urgenze del paese e restare a generici obiettivi è piuttosto deludente. La riforma della giustizia è un po’ meglio delineata, ma sono assenti la riforma fiscale, della Pa, le semplificazioni. Si passa da 9 a 20 miliardi sulla sanità: soldi che arriveranno più tardi e con più condizionalità del Mes. Questo è il vero stigma, la macchia indelebile di chi è prigioniero dei propri meme sui social. E poi, su intramoenia e sanità territoriale va tutto bene? Continuano le corporazioni a perimetrare il diritto alla salute degli italiani? Insomma, il RRF è ben diverso dai Fondi Strutturali EU. I Fondi Strutturali pagano “i costi”. Il Next Gen Eu è una “facility” piena di condizionalità: stabilisce obiettivi, sulla base di progetti (che vengono valutati) ed eroga soldi solo se gli obiettivi sono raggiunti. Non solo, il 10% dei fondi sarà erogato subito (entro fine 2021) per far partire progetti. Ma il rimanente 90% sarà condizionato al raggiungimento degli obiettivi concordati in partenza (tra Governo e Commissione EU). Bene la chiarezza di dettaglio delle 47 linee di intervento contenute nei 4 allegati, ma a ben vedere si abusa ancora una volta dell’utilizzo di sussidi, bonus e micro-interventi a scapito delle infrastrutture, in un quadro in cui almeno ci sono più investimenti. Non spariscono, tuttavia, i mille rivoli per accontentare un po’ tutti (i soliti), con grande probabilità di non essere approvati dalla Commissione. E’ vero che “manca una visione strategica” is the new “manca “il progetto politico” ma manca davvero. Vanno indicate le azioni e anche gli obiettivi. Troppo deboli i capitoli sulla sicurezza delle infrastrutture, sull’edilizia scolastica, su tutte le infrastrutture, sulle bonifiche si tiene troppo conto della cultura nimby grillina. Logistica, portualità, aeroporti. Lo stesso vale per l’ecosistema della nuova mobilità, batterie, colonnine di ricarica, smaltimento. Dopo anni di convegni sull’economia circolare, c’è troppo imbarazzo, evidente dallo slalom che si fa sulle bonifiche, sui rifiuti, sulle aree a desertificazione industriale, o delle aree riconosciute a crisi complessa. Scarse idee e risorse su dissesto idrogeologico. Tutto in un paese in cui non si chiude più positivamente una vertenza industriale. Bisogna prevedere dei piani di rigenerazione urbana recuperando interventi profondi sulle periferie e per realizzare smart city policentriche. Siamo il 17° paese per quantità e qualità delle sue infrastrutture in Ue. Al Sud servono urgentemente più degli sgravi non selettivi. La necessità di una Tav adriatica (e di un suo arretramento). L’ammodernamento della rete ferroviaria di tutta l’Italia insulare. Sull’idrogeno, l’incapacità di risolvere le contraddizioni interne alla maggioranza ha prodotto un esercizio di vuota retorica, senza il coraggio di dire che – se l’Italia vuole giocare questa partita – deve farlo a 360 gradi. Col verde e col blu, insomma, senza pregiudicarsi alcuna strada.
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