Nel Recovery plan della discordia, miccia della crisi di governo, il potenziamento delle infrastrutture è uno degli interventi su cui il governo ha dirottato più risorse, assegnando complessivamente 32 miliardi di euro per l'alta velocità di rete, la manutenzione stradale, l'intermodalità e la logistica integrata. Obiettivo delle misure è realizzare un sistema infrastrutturale di mobilità moderno, digitalizzato e sostenibile dal punto di vista ambientale e per farlo si è deciso di puntare soprattutto sull'ammodernamento della rete ferroviaria e sugli investimenti indirizzati al sistema portuale. Per entrambi gli aspetti, il piano richiama la centralità del Mezzogiorno: in tema di rete ferroviaria si fa riferimento ai fondi di sviluppo e coesione come leva aggiuntiva per gli investimenti, per i porti si sottolinea il ruolo centrale che possono ricoprire nei trasporti infra-mediterranei e per il turismo. Eppure, a leggere l'analisi pubblicata dalla Fondazione Per - Progresso Europa Riforme quello che il piano di ripresa e resilienza propone per le regioni meridionali non è solo insufficiente, ma anche dannoso. “Un governo che si definisce meridionalista sta per dividere ancor di più l’Italia in due”, dice al Foglio Leandra D'Antone, docente di Storia Contemporanea all’Università di Roma La Sapienza, che ha curato per la Fondazione un quaderno che raccoglie le proposte di un gruppo di esperti per sviluppare le migliori infrastrutture per il Sud Italia.
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