la nuova stagione
L'arrivo di Draghi spinge Mps in Borsa e verso la privatizzazione
L’arrivo a Roma dell'ex governatore della Bce è considerato un fattore di accelerazione di un consolidamento bancario che coinvolgerà in primis il Montepaschi
A prescindere da chi sarà nominato a capo del Mef, per Montepaschi sta per aprirsi una nuova stagione. Potrebbe essere la volta buona, infatti, che qualcuno bussi finalmente alla porta della data-room aperta dagli advisor del Tesoro per verificare se ci sono le condizioni per un’aggregazione. La Borsa dà molto credito a quest’ipotesi proprio nei giorni in cui a Roma fervono le consultazioni per la formazione del governo di Mario Draghi e contemporaneamente, però, emerge un quadro tanto critico nei conti di Siena da mettere in discussione la continuità aziendale con una perdita di 1,5 miliardi stimata per l’anno 2020. Un rialzo del 20 per cento del titolo di Mps com’è successo ieri – in pratica la banca ha aumentato di un quinto il suo valore in una sola seduta – non sembra giustificabile solo con i rumors emersi nel fine settimana sull’interesse di alcuni fondi esteri, ipotesi peraltro ritenuta poco realizzabile dagli analisti a causa del profilo troppo aggressivo di questo tipo di investitore. Quello che viene annusato dal mercato è un cambio di prospettiva.
L’arrivo di Draghi a Roma è considerato un fattore di accelerazione di un consolidamento bancario che coinvolgerà in primis il Montepaschi e questo per almeno tre ragioni.
La prima è che Draghi è stato presidente della Bce e proprio da questa istituzione stanno arrivando segnali di incoraggiamento a fusioni e integrazioni tra banche anche per affrontare l’atteso aumento dei crediti deteriorati.
La seconda è che molto difficilmente il presidente del Consiglio incaricato deciderà di non tenere fede agli impegni assunti dall’Italia con l’Unione europea che prevedono l’uscita del Mef dal capitale entro il 2021. Se nel suo governo si confida anche per rafforzare la credibilità del nostro paese in Europa, la privatizzazione di Mps diventa uno dei punti cardine dell’agenda se non altro per affermare un principio.
La terza ragione è che per quanto Draghi possa dare e certamente darà spazio alle diverse posizioni delle forze politiche che appoggeranno il nuovo esecutivo (per esempio quella del Movimento 5 stelle è sempre stata più propensa al mantenimento del controllo pubblico nella banca) è improbabile che sceglierà una soluzione diversa dal ritorno sul mercato, lui che delle privatizzazioni è stato fautore quand’era direttore generale del Tesoro. Certo, da allora sono passati più di vent’anni e oggi, in seguito allo scenario pandemico, una certa presenza dello stato nell’economia è percepita come inevitabile anche negli ambienti più liberisti e Draghi non ha certo avversatoil ruolo del pubblico in questa fase.
Ma per gli osservatori del mercato, la strada maestra per risolvere il rebus Montepaschi resta quella di procedere con l’integrazione con un altro gruppo bancario, che è poi il percorso impostato da Roberto Gualtieri. Secondo alcuni rumors, il gruppo Unicredit potrebbe farsi avanti con Mps dopo l’insediamento di Andrea Orcel nel ruolo di amministratore delegato, mentre la banca ha confermato che solo il fondo Apollo ha chiesto, tra i nomi che sono circolati, l’accesso alla data room.
Secondo un’analisi di Equita è, però, improbabile che l’interesse di un fondo possa sfociare concretamente nell’acquisizione di Mps poiché la strategia di questi operatori, in genere caratterizzata da un orizzonte temporale di breve periodo e improntata al taglio dei costi, potrebbe non essere ritenuto adeguata dal Mef. E il giudizio di una ricerca di Banca Imi-Intesa Sanpaolo è ancora più netto: “Crediamo che la migliore soluzione per Mps sarebbe l’integrazione con un altro gruppo bancario, invece di essere acquisito da un fondo di private equity, cosa che farebbe massimizzare le sinergie di costi e ricavi e la possibilità di utilizzare le Dta. Noi consideriamo Unicredit come miglior candidato per un’integrazione con Mps”.