soldi buttati

Lo sci nella bufera: "La falsa partenza ci è costata 100 milioni"

Francesco Gottardi

Aspettative disattese. "La stagione invernale è persa. Ora serve una visione concreta per il sistema montagna di domani. I ristori non bastano più, chiediamo indennizzi. E rispetto”. Le voci dell'Associazione funivie e del presidente di Confcommercio Trentino

Spicca una parola, fra le voci della montagna: aspettative. “E oggi per la prima volta c’è stata un’apprezzata operazione di ascolto”, dice al Foglio Valeria Ghezzi, presidente dell’Associazione italiana esercenti funiviari (Anef), al termine dell’incontro di lunedì pomeriggio al palazzo della regione Lombardia. Presenti il governatore Fontana, il nuovo ministro del Turismo Massimo Garavaglia e quello per gli Affari regionali Mariastella Gelmini: “Erano mesi che il mondo dello sci cercava di far sentire le sue ragioni al vecchio governo. Invano. Mi auguro che questo segnale di discontinuità abbia seguito. Anche perché quello che è successo ieri rientra in tutto nel modus operandi del Conte bis”. L’ultimo grande smacco – “I modi, i modi; non entriamo nel merito”, sottolinea la parte lesa – ha tagliato le gambe a un intero settore finalmente pronto a ripartire. A ridosso dell’ultima data utile. E soprattutto ha provocato una valanga di danni evitabili.

     

“Partiamo dal presupposto che la stagione invernale 2020/21 è persa”, sottolinea la numero uno degli impianti di risalita. “Si tratta di circa un miliardo di mancati ricavi. A questi però ora dobbiamo aggiungere le spese di riapertura, che tutto il sistema montagna ha sostenuto nelle ultime due settimane: abbiamo calcolato che per lo sci è circa l’1 per cento del fatturato. Dieci milioni di euro. La chiusura poi blocca tutta la filiera. Quindi vanno considerate anche le perdite dell’indotto che si era mosso nel frattempo: quello attorno alle piste è un giro d’affari di 8-10 volte più grosso. Si fa presto ad arrivare a 100 milioni. Buttati. Per decisioni governative comunicate male”.

      

L’effetto domino è devastante. Prendiamo il caso del Trentino: “Il turismo vale il 20 per cento del pil della nostra regione, porta 30 milioni di visitatori all’anno di cui un terzo nella sola stagione invernale”, interviene Giovanni Bort, presidente di Confcommercio e della Camera di Commercio di Trento. “Da noi attorno allo sci orbitano 1,2 miliardi, 20mila posti di lavoro e 5mila esercizi fra alberghiero, ristorazione e servizi. Gran parte di tutto questo l’abbiamo perso, ma comunque molti si stavano preparando per il 15 febbraio, che doveva essere il giorno X: richiamo del personale, approvvigionamento di materie prime. A essere ottimisti, 1.000 euro per ciascuna attività. Polverizzati per il tempismo di un divieto che dimostra scarso rispetto per chi lavora”.

   

Oltre il danno la beffa: “Dirci che ripartiremo il 5 marzo è fuori luogo e offensivo”, di nuovo Ghezzi. “Questo è l’aspetto che ci ha ferito di più dell’ordinanza di domenica. Primo: gli italiani a marzo smettono di andare in montagna e iniziano a pensare alle vacanze estive. Secondo, e più importante: se la situazione oggi è così grave da comportare queste decisioni, come si può pensare di esserne fuori in venti giorni?” Così la neve si scioglie. “Da maggio guarderemo anche noi al 2021/22. Ma intanto dobbiamo pensare a far quadrare i conti: rischiamo di non arrivare a Natale”, l’appello dello sci. “Abbiamo bisogno di una visione che delinei un futuro concreto per il sistema montagna. I ristori non bastano più, chiediamo rispetto per il nostro mondo. E quindi degli indennizzi significativi che partano dalla valutazione dei mancati fatturati”.

   

Le fa eco Bort da Confcommercio: “Ci hanno fatto prendere tutte le precauzioni necessarie per niente. Con questi atteggiamenti si rischia la disobbedienza civile. Se ripartiremo? Una volta che si rimette in moto la macchina basta poco. Dopo questa esperienza però non confidiamo più in nulla”. Rieccole: “Le aspettative rovinano molte cose”, scriveva Pedro Juan Gutierrez, in tempi e luoghi più caldi, nella sua Trilogia sporca dell’Avana. “Ma imparare a eluderle è un’arte”. E un’impresa titanica, fra le incerte dinamiche della pandemia. Senza bisogno di ordinanze sul gong, capaci di stendere anche i monti.

 

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