Il Cashback e il Superbonus alla luce delle parole di Draghi

Luciano Capone

"Le risorse sono sempre scarse” e “ogni spreco oggi è un torto che facciamo alle prossime generazioni”, ha dichiarato il presidente del Consiglio. Per questo è necessario valutare e rivedere due bonus che sono costosi, regressivi e distorsivi

Nel discorso attraverso cui ha chiesto la fiducia al Senato, Mario Draghi ha introdotto un elemento di realismo economico che pare ormai dimenticato nelle aule parlamentari. Parlando delle responsabilità e delle risposte che il paese ha nei confronti dei giovani, il presidente del Consiglio ha dichiarato che chiedersi se stiamo facendo per le future generazioni “tutto quello che i nostri nonni e padri fecero per noi” è una “domanda che non possiamo eludere quando aumentiamo il nostro debito pubblico senza aver speso e investito al meglio risorse che sono sempre scarse. Ogni spreco oggi è un torto che facciamo alle prossime generazioni, una sottrazione dei loro diritti”. Quello espresso da Draghi è un ragionamento pienamente economico, che riprende i concetti di trade-off e costo opportunità. I politici preferiscono nettamente di più la distinzione draghiana tra “debito buono” e “debito cattivo”, perché consente agevolmente di battezzare come “buona” qualsiasi spesa o investimento. L’introduzione del concetto di scarsità delle risorse, invece, costringe a fare un confronto tra impieghi alternativi e quindi non a scegliere quelli ritenuti “buoni” ma “migliori”. E’ questo lo scrutinio che dovrebbe superare qualsiasi decisione di impiegare le risorse pubbliche: non semplicemente “sono soldi spesi per un buon motivo ”, ma più precisamente “ci sono altri modi per spenderli meglio”?


In questo senso il governo, e in particolare il ministro dell’Economia Daniele Franco, dovrebbe forse rivedere i tanti bonus introdotti dal governo precedente (dai monopattini ai rubinetti) e in particolare due misure su cui le forze della precedente maggioranza hanno puntato ingenti risorse pubbliche: il cashback e il superbonus 110%. La prima misura, fortemente voluta da Giuseppe Conte, ha un costo definito ed elevato (circa 5 miliardi di euro per un anno e mezzo, che rappresentano la metà di tutti gli investimenti del Recovery plan in “Digitalizzazione, innovazione e sicurezza nella Pa”) a fronte di obiettivi vaghi (incentivare i pagamenti digitali) e benefici indefiniti (recupero dell’evasione). Di certo c’è solo che il cashback, che restituisce a ogni consumatore il 10% di qualsiasi spesa pagata con strumenti digitali fino a un rimborso massimo 300 euro all’anno (1.500 euro di spesa ogni sei mesi), è un costoso sussidio regressivo di cui beneficeranno prevalentemente le fasce più benestanti, e che proprio per questi motivi in passato è sempre stato bloccato (da ultimo quando al Mef c’era Giovanni Tria). Su questa misura non c’è stata alcuna valutazione ex ante né sono stati identificati obiettivi precisi per poterne misurare l’efficacia. Però il governo ha a disposizione il mese di sperimentazione di dicembre, quando voleva incentivare gli acquisti di Natale, e presto il primo ciclo semestrale che si chiuderà a giugno. A quel punto si potrà fare una valutazione dell’efficacia del bonus, della sua distribuzione per fasce di reddito, ed eventualmente bloccarlo per il prossimo anno (risparmiando almeno 1,5 miliardi).


L’altra misura è il superbonus 110%, che ha come finalità il rilancio dell’edilizia e la riqualificazione energetica delle abitazioni e, con 22 miliardi rappresenta circa un terzo dell’intera spesa per “Rivoluzione verde e transizione ecologica” del Recovery plan. Anche questa è una misura regressiva, come dimostrano i dati del monitoraggio delle spese fiscali dell’Ufficio parlamentare di Bilancio (Upb) riguardo alle detrazioni per le spese di riqualificazione edilizia, ma rispetto i precedenti ecobonus che andavano dal 50 al 65% aggiunge un’ulteriore distorsione: con una detrazione superiore al 100%, lo stato non solo ripaga tutto il capitale investito dal cittadino per migliorare la sua casa (da cui ricaverà anche un risparmio energetico), ma in più gli garantisce un guadagno del 10% sull’investimento. In questo modo il bonus diventa un enorme incentivo alla sovrafatturazione e favorisce comportamenti collusivi tra i privati: è come se lo stato mettesse in palio un premio per chi lo truffa. A queste stesse conclusioni, è giunto l’Upb, l’organo indipendente vigilante sulla finanza pubblica: “Occorre segnalare il possibile utilizzo della misura a fini elusivi o speculativi – aveva dichiarato il presidente dell’Upb Giuseppe Pisauro in audizione alla commissione Bilancio della Camera –. L’entità della detrazione riduce sensibilmente il conflitto di interessi tra fornitori e acquirenti sul costo degli interventi agevolati, avendo entrambe le parti convenienza a massimizzare la spesa fino a raggiungere l’importo massimo agevolabile”. Per correggere le distorsioni che ha prodotto, lo stato ha aumentato la burocrazia e i controlli rendendo così più difficile l’accesso e allungando i tempi di concessione. Anche in questo caso, una revisione che renda il bonus meno generoso ma più accessibile produrrebbe risparmi che possono essere impiegati per riforme più importanti, come la razionalizzazione del sistema fiscale auspicata dal premier al Senato.

 

"Le risorse sono sempre scarse” e “ogni spreco oggi è un torto che facciamo alle prossime generazioni” sono le due affermazioni di Draghi attraverso cui bisognerebbe valutare ogni misura di spesa, a partire dalle più generose come cashback e superbonus.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali