Per un Recovery plan orientato verso i giovani. La ricetta di Cna
Parlare di innovazione, transizione verde ed economia circolare perde qualsiasi rilevanza se l’Italia continua a relegare le nuove generazioni ai margini
Il Green New Deal europeo nella declinazione italiana dovrebbe titolarsi “Un New Deal per i giovani”. Rappresentano il futuro di ogni nazione e disquisire di innovazione, transizione verde ed economia circolare perde qualsiasi rilevanza se l’Italia continua a relegare le nuove generazioni in una sorta di riserva da “pensionati” anzitempo. C’è una convergenza unanime sul fatto che un paese che non sfrutta l’energia dei giovani come agente di innovazione e motore della società è destinato a un declino irreversibile. La grave condizione dei nostri giovani è l’espressione di una cultura politica ed economica incapace di esprimere una visione sul futuro e che premia l’anzianità e l’esperienza prima del merito e del potenziale.
Se la crisi provocata dalla pandemia ha colpito soprattutto giovani e donne non è una casualità ma l’inevitabile evoluzione darwiniana. A 15 anni dall’istituzione del ministero per le Politiche giovanili il bilancio è sconfortante. Dispersione e mancanza di coordinamento dei programmi tra livello centrale e periferico che riflettono l’anomalia del federalismo italico, incapacità di misurarne i risultati. Un approccio culturale che consiste nel guardare i giovani come “un’area ecologica protetta” invece di focalizzare i temi della “transizione” (da giovane ad adulto) e dell’orientamento. Oggetto passivo di politiche spesso sbilenche al quale non è riconosciuto lo status di “attore sociale”. In questa fotografia dai toni plumbei spicca lo svilimento patito dalla scuola. Abbiamo la più alta dispersione scolastica in Europa, il minor numero di laureati. Tra il 2009 e il 2019 l’esercito dei Neet è aumentato solo in Italia, Brasile e Grecia tra i paesi Ocse. La disoccupazione giovanile è salita di 12 punti in un decennio superando il 30 per cento contro il 6,5 per cento della Germania e l’8,5 per cento degli Stati Uniti.
Per formare un diplomato specializzato e un laureato spendiamo poco, circa 9 mila euro all’anno rispetto ai 14 mila della Germania e ai 17 mila dell’Austria, eppure investire 100 euro in formazione genera un ritorno finanziario pari a oltre 3 volte, secondo i calcoli dell’Ocse. Secondo la classificazione europea i giovani arrivano fino a 24 anni ma l’Italia gode di una deroga a 29. Può sembrare un beneficio, in realtà nasconde un gigantesco costo economico e sociale. L’entrata tardiva nel mondo del lavoro vale 1-2 milioni di occupati in meno che corrispondono a un’economia “significativamente” più piccola del 4-8 per cento. Allo stesso modo il ritardo con il quale si entra a pieno titolo nel mondo della ricerca comporta una perdita netta di innovazione non recuperabile nel resto del ciclo di vita. E l’innovazione parla la lingua dei giovani. Le sei più grandi imprese americane non esistevano 30 anni fa e il 40 per cento del pil statunitense è generato da attività nate dopo il 1975. In Italia tra le prime 10 soltanto una ha meno di 50 anni e sette hanno oltre un secolo di storia. Nel variegato mondo dei giovani quelli che intendono fare impresa sono la principale evidenza della necessità di una profonda modernizzazione del paese, per riattivare l’ascensore sociale e ridurre le diseguaglianze, stimolare il progresso economico e sociale. Si deve partire dalla scuola, superando l’anacronistica separazione tra sapere intellettuale e sapere manuale e professionale, per farne il nucleo fondamentale dove favorire la cultura d’impresa e il trasferimento di competenze. In questo senso, l’artigianato e la piccola impresa rappresentano una straordinaria palestra per quei giovani che hanno voglia di intraprendere, di mettere in gioco se stessi, la loro creatività e capacità di innovare, ibridando mestieri antichi con tecniche e strumenti moderni. Una fucina di giovani che fa da cuore pulsante di quei prodotti e servizi d’eccellenza che costituiscono l’essenza del Made in Italy. Per i giovani il Recovery plan rappresenta un’occasione irripetibile e ripongono grandi aspettative nel presidente del consiglio Mario Draghi. Il suo intervento al Meeting di Rimini della scorsa estate e il discorso sulla fiducia alle Camere evidenziano il nuovo paradigma: “Ogni spreco oggi è un torto che facciamo alle prossime generazioni, una sottrazione dei loro diritti”. Un concetto semplice ma che obbliga la politica e la classe dirigente a stravolgere la mappa delle scelte, riformulare le priorità, ridefinire il ruolo dello stato. Significa che nel mondo globalizzato e connesso è tramontata la gloriosa e lunga stagione dello stato interventista davanti al fallimento del mercato. Si scorgono evidenti asimmetrie nella allocazione delle risorse. Ad esempio nessuno tifa per la chiusura di Alitalia, ma i 3 miliardi per il salvataggio sono il 50 per cento in più dei fondi destinati a sviluppare la tecnologia dell’idrogeno. La politica dei bonus pulviscolari dell’ultimo anno ha drenato il doppio delle risorse previste per gli investimenti nell’economia circolare. I giovani confidano che il nuovo premier modifichi il Recovery plan in chiave filosofica prima ancora che operativa. Nel discorso del premier in Parlamento i termini giovani/giovanile sono stati i più ricorrenti e sono stati pronunciati 96 volte, tuttavia l’attenzione alle nuove generazioni non si misura in citazioni ma rappresentando una visione coerente per stimolare crescita e innovazione, promuovere la coesione, superare i tratti di un sistema di welfare che non riflette più le società moderne. Un rinnovato Recovery plan dovrà essere accompagnato da strumenti e approcci innovativi sul credito, sul welfare e sul passaggio generazionale delle imprese. I giovani imprenditori non reclamano sussidi e protezioni, vogliono essere coinvolti nelle scelte sul proprio futuro e soprattutto rivendicano di non essere dipinti come un genere in via di estinzione.
*presidente di Cna - Giovani imprenditori