Il futuro di Ilva parte sempre dal tribunale, ma non solo

Annarita Digiorgio

Oggi l’udienza del Consiglio di stato sullo spegnimento degli impianti. La strada green e il nodo irrisolto della governance 

E’ prevista per oggi l’udienza al Consiglio di stato sulla richiesta di sospensiva per lo spegnimento degli impianti dell’Ilva di Taranto, mentre il 16 maggio si attende la sentenza di merito. Un procedimento nel quale si è costituita in giudizio, accanto al Comune di Taranto, anche la regione Puglia. E’ l’ennesima causa che ferma il percorso di risanamento dell’acciaieria, nonché il piano di nazionalizzazione. Lo ha detto il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti lo scorso 4 marzo al question time alla Camera: “La vicenda Ilva sembrava avesse avuto uno sbocco con l’accordo di dicembre che prevedeva il completamento dell’ingresso al 50 per cento di Invitalia entro il 15 febbraio, cosa che non è avvenuta a causa di alcuni ritardi che ne hanno rallentato le operazioni. Siamo stati bloccati da un’ordinanza di spegnimento degli impianti di cui attendiamo responso dal Consiglio di stato, e attendiamo di verificarne il buon esito per concludere l’operazione”. Entro quella data il governo, tramite Invitalia, avrebbe dovuto versare la quota di 400 milioni per l’ingresso in ArcelorMittal. Ma il decreto, seppur pronto al Mef, è stato sospeso prima del cambio di governo. Nel frattempo ArcelorMittal ha annunciato che da lunedì 29 marzo, per 12 settimane, 8.128 dipendenti, ovvero l’intera forza lavoro, sarà a rotazione in cassa integrazione. Una doccia fredda che si aggiunge ai 28 milioni di arretrati non pagati dall’azienda ai fornitori. E mentre i sindacati hanno convocato uno sciopero il 12 marzo per le mancate integrazioni salariali ai 1.600 cassintegrati di “Ilva in amministrazione straordinaria”, proprio ieri è stata rinnovata la mobilità in deroga per i lavoratori licenziati a Taranto dal 2012 quando fu istituita l’area di crisi complessa. Per rilanciarla lo scorso anno è stato lanciato da Arcuri, responsabile tramite Invitalia della riconversione dell’area, un bando di finanziamento per 30 milioni. Di 11 imprese che candidate, una sola è stata ammessa al finanziamento, per 15 posti di lavoro. Una goccia nell’oceano delle migliaia di cassintegrati tra portuali, Cementir, Vestas, Belleli, Sanac, Mercegalia e altre decine di aziende che hanno chiuso i battenti nell’area tarantina negli ultimi anni.

 

Il governo continua a parlare di acciaio green, ma senza un reale punto di caduta. Il primo sarebbe la governance dell’acciaieria. Il più netto di tutti è stato Antonio Gozzi, patron di Duferco, ex capo di Federacciai : “Chi si occuperà dell’acciaio per la parte pubblica? Ai tempi dell’Iri erano state coltivate e fatte crescere delle competenze di altissimo livello, che al momento non mi pare siano presenti all’interno delle aziende statali”. Del resto il piano industriale e finanziario è stato scritto da società di consulenza, McKinsey per ArcelorMittal e Boston Consulting per i commissari Ilva. La governance resta quindi un nodo irrisolto. Persino il ministero dell’Ambiente, nella convocazione trimestrale dell’osservatorio ambientale Ilva, che si è tenuto proprio l’altroieri, insieme ad Ispra ed enti locali, per la prima volta ha chiesto la presenza della nuova governance: “Vi informiamo che dall’ultima riunione non è intervenuto alcun mutamento nella governance della scrivente società”, è stata la risposta di ArcelorMittal.

 

Restano dunque da nominare sei membri del Cda, tre per parte pubblica e tre privata, tra cui presidente e amministratore delegato (ed è su questo ruolo che puntano gli enti locali). A questo proposito Rocco Palombella, segretario generale della Uilm, ha chiesto al ministro Giorgetti un cambio di passo rispetto alla “sciagurata gestione” di ArcelorMittal, riferendosi all’attuale ad Lucia Morselli. Proprio Palombella, che rappresenta il primo sindacato per tessere in Ilva, è stato colui che più duramente ha criticato sin dal principio l’iniziativa del governo Conte dell’ingresso statale, paventandone una fine in stile Alitalia: “Sperpero statale, senza riconversione, con una politica priva di visione industriale che utilizza gli asset solo per caratterizzarsi politicamente e tirare a campare. Senza il revamping di Afo 5 e con lo spegnimento del ciclo integrale quella fabbrica è morta”. Ed è tutto qui il nodo per il futuro di Ilva: nella decisione del Consiglio di stato e nella riaccensione dell’altoforno più grande d’Europa, che può essere rifatto, in questo caso per davvero, con tecnologie all’avanguardia e green.

 

Il primato su questa tecnologia lo ha proprio ArcelorMittal che ad esempio in Belgio, a Ghent, sta costruendo un impianto che trasformerà il legno di scarto tossico in “biocarbone”. In Puglia sarebbe utile per smaltire tutto il legno degli alberi abbattuti causa xylella, e che ora viene portato all’estero. E dell’energia prodotta si potrebbe fare teleriscaldamento per gli appartamenti della città, come fanno tutte le acciaierie del nord. Quanto alla CO2, ArcelorMittal sta già realizzando il piano di azzeramento entro il 2050, ma c’è bisogno dell’intervento europeo. Perché a oggi le acciaierie europee pagano le quote di CO2 che stanno riducendo, mentre Cina e Turchia ne emettono il doppio esportando nel continente un prodotto che costa meno e inquina di più: per questo serve una carbon tax sull’acciaio importato extra Ue. Altrimenti non basterà neanche il Consiglio di stato.

 

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