(Foto dalla pagina Fb di Ceretto)

L'intervista

Draghi e il miracolo della carta per le imprese. Parla Ceretto

Annalisa Chirico

Grande fiducia nel premier ma "serve una profonda riforma della burocrazia", dice la presidente dell'omonima azienda vitivinicola di Alba, che produce dal 1937. E per ripartire "puntiamo sul turismo, è tempo di unire le bellezze d’Italia con il nostro patrimonio enogastronomico"

“Nelle Langhe la chiusura dei ristoranti a novembre, nel mese del tartufo, è come la serrata a Riccione in pieno agosto: il risultato è catastrofico”, dalle colline sabaude alle spiagge romagnole, la metafora è di Roberta Ceretto, presidente dell’azienda vitivinicola che dal 1937 produce su 170 ettari, tra Langhe e Roero, alcuni dei vini più pregiati d’Italia, Barolo e Barbaresco in testa. Roberta, imprenditrice con laurea in lettere e madre di un bambino di cinque anni, fa parte della terza generazione che porta avanti la tradizione e l’eccellenza del marchio fondato da suo padre, Bruno, con il fratello Marcello. “Potete considerarlo un gesto di modernità inconsueta – incalza Roberta, incaricata dalla famiglia di assumere le redini dell’azienda – Grazie al talento di mio zio enologo e al fiuto imprenditoriale di mio padre, oggi le Langhe sono un posto rinomato nel mondo. La pandemia ha avuto un enorme impatto anche qui: ogni venerdì attendiamo con trepidazione di conoscere il colore che ci toccherà nei giorni successivi. Lo scorso anno Piazza Duomo, il nostro ristorante stellato ad Alba (guidato dallo chef Enrico Crippa, ndr), ha perso oltre la metà del fatturato, è chiuso dallo scorso novembre e dubito che riaprirà prima di maggio. Usiamo la frusta se serve ma poi noi imprenditori ci aspettiamo una svolta vera, vogliamo lasciarci alle spalle questo anno terribile. Sui vaccini dobbiamo accelerare: mio padre Bruno, 84 anni, attende ancora il suo turno. Non so di chi sia la colpa ma di questo passo non andiamo da nessuna parte”.

 

 

Il premier Draghi ha nominato come commissario per l’emergenza, il generale Figliuolo, e ridato centralità alla Protezione civile con Curcio. “Di Draghi mi fido, ha svolto un lavoro straordinario quando era a capo della Bce. Mi auguro che il Parlamento gli assicuri il sostegno per recuperare il tempo perduto. Le imprese ne hanno enorme bisogno”. Lei da dove partirebbe? “Serve una profonda riforma della burocrazia e, in generale, degli iter autorizzativi. Compiliamo tonnellate di carta al punto che viene voglia di gettare la spugna”. E il fisco? “In realtà, per ciò che concerne l’attività agricola non possiamo lamentarci, il problema è quella ristorativa: siamo vessati da una tassazione troppo elevata”. Avete licenziato? “La Ceretto ha mantenuto il personale perché il lavoro in campagna non si è mai fermato. I guai sono arrivati per i ristoranti: Piazza Duomo non ha rinnovato gli stagisti, la nostra osteria, La Piola, ha fatto ricorso alla cassa integrazione perché la consegna a domicilio funziona nelle città ma non nelle Langhe dove devi percorrere ottocento chilometri per mettere insieme quattro ordinazioni. È economicamente insostenibile”.

 

Avete ottenuto i ristori? “Sessantamila euro in totale ma noi diamo lavoro a 46 persone tra personale, cuochi, addetti…”. L’export ha compensato il crollo della domanda interna? “Con le nostre quattro cantine esportiamo in 60 paesi ma il grosso dell’incasso proviene dai cinquemila clienti tra ristoranti ed enoteche italiane. Con la chiusura del settore horeca le vendite sono crollate, il fatturato del nostro bianco più apprezzato, il blangé, è diminuito di cinque punti percentuali, i rossi (Barbera, Nebbiolo, Dolcetto) hanno registrato un calo di venti punti rispetto all’anno precedente. L’export verso Regno Unito, Russia, Hong Kong non ha risentito della crisi, diverso invece il mercato statunitense che si è chiuso a riccio. Le nostre specialità più pregiate hanno retto il colpo, anche perché nel 2020 abbiamo distribuito le bottiglie di Barolo del 2016, sono andate a ruba”. Qual è il suo consiglio per la ripartenza? “Puntiamo sul turismo. Esiste un ministero ad hoc, è tempo di unire le bellezze d’Italia con il nostro patrimonio enogastronomico”. Com’è la vita in smart working? “Non può durare a lungo perché comporta troppi limiti. Le degustazioni virtuali non funzionano, nel nostro settore è importante il contatto umano con il cliente: devi annusare, assaporare. E poi le aggiungo un punto: con le scuole chiuse i figli restano a casa e per noi mamme il lavoro raddoppia”.

 

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