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Il whatever it takes inopportuno per Alitalia
Sembrava che Draghi non volesse perseguire la via del salvataggio pubblico. Oggi invece le prospettive sono diverse
Anche Mario Draghi ci è cascato. Sembra che in questo paese non si possa fare politica attiva senza desiderare una compagnia aerea di bandiera e salvare per l’ennesima volta Alitalia dalle sue difficoltà economiche. Il presidente del Consiglio in una conferenza stampa ha prima detto «non accetteremo discriminazioni arbitrarie tra Alitalia e Air France» da parte della Commissione europea. E ha poi ribadito che il piano del governo è mettere in piedi un’azienda con una forte discontinuità dalla precedente Alitalia, anche perché a livello personale Draghi la considera «una cosa di famiglia, anche se un po’ costosa» visto che – ha aggiunto - ha viaggiato quasi sempre con quella compagnia.
Le dichiarazioni del presidente del Consiglio partono però da un errore di fondo. Come ha già chiarito anche Il Foglio, gli aiuti pubblici straordinari autorizzati dall’Unione europea dopo lo scoppio della pandemia possono compensare solo le perdite legate all’attuale crisi economica. Per questo la Commissione ha già concesso ad Alitalia diverse tranche di aiuti. Mentre per ora non si è ancora sbloccata la trattativa principale, quella per la creazione di Ita con 3 miliardi di soldi pubblici freschi, la nuova compagnia pubblica che potrebbe nascere dalle ceneri della vecchia Alitalia con parte dei suoi aerei e dei suoi dipendenti. La Commissione europea vuole infatti delle garanzie dal governo italiano, e per questo non ha ancora avallato il salvataggio, differentemente a quanto accaduto con AirFrance (che il governo francese ricapitalizzerà per 4 miliardi di euro) e per Lufthansa (salvata con 6 miliardi dallo stato tedesco). Le due società europee sono infatti in una condizione ben diversa rispetto ad Alitalia: sia la compagnia francese che quella tedesca avevano chiuso il 2019 con risultati positivi, mentre Alitalia è in perdita da un ventennio e la pandemia ha solo aggravato una situazione già compromessa. Nel 2019 Alitalia aveva un margine Ebit – che rappresenta i profitti senza tenere conto di interessi e tasse - negativo di oltre 14 punti percentuali, mentre AirFrance-Klm aveva un margine positivo del 4,2 per cento (il gruppo Lufthansa oltre il 5 per cento). Peraltro, dalla fine degli anni ’90 e salvo pochi esercizi, la redditività della compagnia aerea è sempre stata negativa. Senza dimenticare l’intervento pubblico, che è stato sostanzialmente continuo negli ultimi decenni. La differenza di trattamento dell’Unione europea sta tutta in questi risultati precedenti allo scoppio della pandemia, come ha chiarito anche una portavoce della Commissione europea.
Peraltro, e qui veniamo all’attaccamento emotivo che Draghi ha dimostrato verso la compagnia di bandiera, Alitalia ha smesso da tempo di essere il vettore fondamentale per gli italiani. Nel 1997, anno della completa liberalizzazione del trasporto aereo passeggeri nell’Unione Europea, Alitalia deteneva circa il 75 per cento del mercato domestico italiano e circa il 35 per cento del mercato intercontinentale che interessava l’Italia. Nel 2018 invece, la percentuale sul mercato italiano si è dimezzata, raggiungendo il 38 per cento, mentre sul mercato internazionale Alitalia sposta ormai solo l’8 per cento dei passeggeri da e per l’Italia. E nel 2019 ha lasciato per strada un altro 1 per cento dei passeggeri trasportati rispetto all’anno prima. Per i voli nazionali Alitalia è ormai stata quasi raggiunta da Ryanair, mentre per il traffico internazionale il suo secondo posto tra le compagnie con più passeggeri è conteso da Easyjet. Come lo stesso Draghi ha ammesso, forse il suo attaccamento come pure l’abitudine a viaggiare con Alitalia sono dovuti alla sua età: un tempo, infatti, la compagnia italiana era una delle poche opzioni per gli italiani che dovessero viaggiare, tutelata anche da regole non concorrenziali. Ma ora, in un mercato moderno, non è più così.
Il discorso di Mario Draghi in occasione della fiducia in Parlamento sembrava presagire alcuni segnali di discontinuità. Allora il premier neoincaricato aveva affermato che «il governo dovrà proteggere i lavoratori, tutti i lavoratori, ma sarebbe un errore proteggere indifferentemente tutte le attività economiche. Alcune dovranno cambiare, anche radicalmente». Allora sembrava un chiaro riferimento alle aziende cosiddette “zombie”, quelle cioè che fin da prima della pandemia navigavano in acque agitate ma il cui fallimento è stato ritardato dagli aiuti pubblici a pioggia di cui hanno beneficiato le imprese da marzo 2020. Draghi, peraltro, ne aveva già parlato, prima di essere nominato presidente del Consiglio, avvertendo i governi che non tutte le aziende avrebbero potuto essere salvate e che serviva concentrarsi su quelle in salute e con prospettive di crescita dopo la pandemia. Quelle parole avevano fatto sperare che non avrebbe perseguito la via del salvataggio pubblico di Alitalia a ogni costo. E invece…
tra debito e crescita