Imparare dagli altri
Ristori, locali e aperture. E ora che si fa? Parla la dg di Cigierre (Temakinho)
"Noi chiediamo solo chiarezza: un calendario credibile per la ripresa, con i vari step per ripartire nel modo migliore possibile. Senza nuovi tira e molla e chiusure e colpi di scena che per i ristoranti si sono tradotti in milioni di investimenti in materia prima poi regalata al banco alimentare”
Aiuto. La valanga non è ancora scesa a valle. Ma già si avverte l’eco di un rimbombo che non promette nulla di buono. “Muoviamoci subito, altrimenti chissà…” ammonisce Stefania Criveller, che per mestiere fa il direttore generale della Cigierre, dinamica realtà della ristorazione cui fa capo una rete di 300 e più ristoranti di proprietà e in franchising disseminati nella Penisola, ma anche in Francia, Svizzera, Austria e Germania. Una multinazionale tascabile del gusto, specializzata nella cucina a tema: Old Wild West, America Graffiti, Shi’s, Wienen Haus, Pizzikotto e Temakinho, il connubio tra sushi e inventiva brasiliana, importato in Italia da Marco di Giusto, friulano, classe 1965, che in meno di vent’anni ha creato un gruppo da oltre 350 esercizi in tutta Europa, in proprietà o in franchising, messo a dura dalla pandemia. Ma anche dalla difficoltà a capire le esigenze di imprese commerciali che non sono piccole (specie agli occhi del fisco), ma non hanno alle spalle le lobby delle grandi imprese.
E così, spiega la signora Criveller, anima finanziaria di un impero che viaggia tra hamburger, boccaloni di birra, gamberi e tempura, “in Italia regna una certa confusione. Non è ben chiaro, il confine tra piccola e media impresa. Oltre il limite di 1,8 milioni di fatturato rispondiamo ai vincoli degli aiuti di stato previsti dall’Unione europea. Non dico che sia sbagliato in linea di principio, ma non nelle attuali condizioni”.
Insomma, colpa di Bruxelles. “In realtà, mica tanto. In altri paesi, la Germania ad esempio, la legge è stata concepita in modo da far sì che i contributi sui costi fissi non venissero considerati aiuti di stato, la Francia ha alzato il tetto da 1,8 a 10 milioni di fatturato. Da noi, dove la prima legge fu emanata in fretta e furia, dovrebbe accadere lo stesso. Speriamo, perché altrimenti sono guai”.
Già, se le regole non cambiano anche sull’esenzione dall’Irap rischia di cadere la scure dell’accusa di aiuti di stato, davvero un colpo fatale per molte aziende, su cui incombono altre emergenze figlie della crisi. E non è il solo motivo per invidiare i vicini europei: i soldi anticipati ai dipendenti, in Francia come in Inghilterra, rientrano nelle tasche dei commercianti in un mese, in Italia ritornano dopo 3-4 mesi sotto forma di sgravi sui contributi. E nel frattempo bisogna fare i conti con le banche, a loro volta alle prese con regole più severe perché la pandemia, infatti, coincide con l’introduzione dei nuovi ferrei limiti sulla morosità in banca. Un bel guaio perché molte tra le società immobiliari che avevano accettato di rinviare il pagamento degli affitti degli spazi commerciali in occasione della prima onda della pandemia oggi sono obbligati ad adottare una politica più rigida. E così molti operatori rischiano di finire nel girone delle sofferenze con l’etichetta di cattivo pagatore che si trascineranno anche ad emergenza finita. A partire dagli centri commerciali, l’anello più debole di un sistema fragile, dove molti operatori in franchising (non solo nella ristorazione) si sono trovati ad affrontare la tempesta perfetta: la chiusura delle attività da ottobre nei weekend e altre feste comandate. Per l’occasione “abbiamo scoperto – sorride amara la Criveller – l’esistenza dei santi patroni più sconosciuti”.
Non è difficile immaginare che tra chi protesta in piazza ci siano anche i gestori dei vari fast food dei vari mall, già cattedrali del consumo, oggi a rischio di estinzione. Per carità, non è il caso di arrendersi. “In giro si avverte voglia di ripartire. E nessuno della nostra rete intende cedere”. O avanza, aggiungiamo noi, pretese assistenziali, semmai il riconoscimento di alcuni interessi legittimi. “Noi chiediamo solo chiarezza: un calendario credibile per la ripresa, con i vari step per ripartire nel modo migliore possibile. Senza nuovi tira e molla e chiusure e colpi di scena che per i ristoranti si sono tradotti in milioni di investimenti in materia prima poi regalata al banco alimentare”.
E nel frattempo non resta che resistere, tagliando i costi a fronte del crollo degli incassi (“ma per quanto ti sforzi, tra affitti e spese varie non puoi tagliare l’ottanta per cento delle uscite”) e arrangiandosi con il delivery a domicilio (“che serve a mantener vivo il marchio e a sostenere l’occupazione, ma che non ti porta lontano”). Nell’attesa che torni la luce. “Quella artificiale, perché se non si torna a uscire la sera, noi siamo fermi”. Ad ascoltare il rimbombo della valanga che preme sulla valle di pizzerie, birrerie e di ristoranti che rendono così dolce il Bel Paese.