Niente Cashback nel Recovery plan
Nel Pnrr di Conte il bonus sui pagamenti digitali valeva la metà della spesa per “Digitalizzazione, Innovazione e Sicurezza nella Pa”. Nel nuovo piano di Draghi quei 4,7 miliardi lasciano spazio a nuovi investimenti. Ma il Cashback verrà abolito o sarà finanziato con fondi ordinari?
Nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) del governo Draghi c’è un cambiamento rilevante rispetto alla versione elaborata dal governo Conte: manca il Cashback. Il provvedimento per incentivare i pagamenti digitali, che prevede un rimborso del 10% su ogni acquisto effettuato con carte, fino a un bonus massimo di 150 euro ogni sei mesi dal 2021 a primo semestre del 2022, era uno dei pilastri della “Missione 1”, quella su “Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura”. Nello specifico il cosiddetto programma “Italia Cashless”, su cui molto avevano puntato l’allora premier Giuseppe Conte e la sua macchina comunicativa, con uno stanziamento di 4,77 miliardi valeva quasi la metà di tutti i fondi impiegati per “Digitalizzazione, Innovazione e Sicurezza nella Pa”. Ora questa voce non c’è più.
Nel Pnrr di Draghi non c’è più spazio per il “Cashback”, che in effetti non c’entrava molto con la digitalizzazione della Pubblica amministrazione. Questo capitolo di spesa, che vale in totale 10 miliardi, prevede tre ambiti d’intervento: 6,1 miliardi per digitalizzare la Pa (infrastrutture digitali, migrazione al cloud, cittadinanza digitale, Cybersecurity, etc.); 1,6 miliardi su innovazione Pa (sburocratizzazione); 2,3 miliardi per innovare il sistema giudiziario. A questo punto che fine farà il Cashback? L’assenza dal Pnrr potrebbe far pensare che il governo intenda porre fine anticipatamente a una misura la cui scadenza è prevista per il 30 giugno 2022. D’altronde, il governo non è mai parso entusiasta per questo bonus, la cui eliminazione farebbe risparmiare circa 3 miliardi di euro (1,75 miliardi ormai sono andati via con il Cashback di Natale e il primo semestre 2021) che potrebbero essere usati per altre cose come la lotta alla povertà, i sostegni alle attività produttive o la riforma fiscale.
Anche molte forze politiche in Parlamento si sono espresse in maniera critica contro il Cashback. In prima linea Giorgia Meloni, dall’opposizione. Ma anche forze della maggioranza come la Lega, che ha criticato le storture del bonus, e il Pd. Proprio sul Foglio Antonio Misiani, ex viceministro dell’Economia nel governo Conte e attuale responsabile economico della segreteria di Enrico Letta, aveva dichiarato che era giusto fare una valutazione sul Cashback per spostare le risorse sul contrasto alla povertà. Ma non è una cosa politicamente semplice da fare, perché a difendere strenuamente la bandiera del governo Conte c’è il M5s: dare ragione all’opposizione di FdI e scontentare un’importante forza di maggioranza è un’operazione che potrebbe lasciare profonde cicatrici sul governo. Quindi è probabile che il Cashback non verrà abolito, ma verrà finanziato con fondi del bilancio ordinario.
Di certo l’esclusione dal Pnrr indica che per il governo Draghi non è una misura strategica. E non può sottrarre soldi necessari a riformare la burocrazia. Se nel governo Conte, circa la metà dei fondi europei era stata dirottata per finanziare un progetto in essere, il piano di Draghi prevede che i 10 miliardi in “Digitalizzazione, innovazione e sicurezza nella Pa” siano tutti investimenti nuovi. Resta però un problema di coerenza. Se il Cashback già con Conte era una misura costosa ma che il governo spingeva molto sul piano comunicativo, ora ha poco senso tenerlo in vita per un governo che non intende puntarci. Se si aspetta che arrivi a scadenza, allora forse è meglio chiuderlo prima e usare le risorse per altro.