Il pazzo populismo sui brevetti
Aggredire la cultura del profitto espone il mondo a essere più vulnerabile contro le pandemie
L’incredibile clima di giubilo che ha accompagnato la decisione dell’Amministrazione americana di appoggiare l’idea di sospendere i brevetti per i vaccini contro il Covid-19, “in modo che la loro ricetta sia a disposizione di tutto il mondo”, rappresenta un termometro molto interessante per provare a misurare la permeabilità della classe dirigente occidentale a un pericoloso virus politico circoscrivibile in sei semplici parole: il disprezzo della cultura del profitto. I sostenitori della rinuncia al brevetto affermano, spesso con pose arroganti, da chi non aspetta altro che offrire ai propri elettori lo scalpo della casa farmaceutica brutta e cattiva, che è necessario infrangere le protezioni dei brevetti per provare a espandere l’accesso globale ai vaccini. L’obiettivo di far arrivare i vaccini a più persone possibili, in tutto il mondo, è un obiettivo nobile, giusto e sacrosanto – anche se lo scandalo dei paesi più ricchi vaccinati prima di quelli più poveri è ovviamente un non scandalo se si considera il fatto che l’Unione europea e gli Stati Uniti, pur avendo il dieci per cento della popolazione mondiale, hanno registrato circa il quaranta per cento dei decessi totali per Covid, essendo le loro popolazioni più anziane rispetto a quelle dei paesi più poveri e in via di sviluppo ed essendo dunque esposte più di altre agli effetti del virus. Ma l’obiettivo in questione, pur partendo da una domanda giusta, arriva a una risposta sbagliata. Per non dire semplicemente falsa. La violazione dei brevetti, come ricordato dal Wall Street Journal in un severo editoriale dedicato alle parole di Joe Biden, non accelererà la produzione o la distribuzione di vaccini nei paesi poveri perché già oggi le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) consentono ai paesi a basso reddito di costringere i produttori di farmaci a concedere in licenza i loro brevetti durante le emergenze, sebbene debbano negoziare alcuni accordi con gli sviluppatori, e perché già oggi le aziende farmaceutiche stanno aumentando la produzione il più velocemente possibile anche nei paesi a basso reddito (i governi degli Stati Uniti e dell’Europa hanno donato miliardi di dollari a un’iniziativa sostenuta dall’Oms che mira a distribuire due miliardi di dosi ai paesi a reddito medio e basso entro la fine di quest’anno, AstraZeneca ha promesso di destinare quasi due terzi dei suoi vaccini ai paesi in via di sviluppo, J&J ha promesso loro fino a 500 milioni di dosi e Novavax addirittura 1,1 miliardi).
Con il sistema attuale dei brevetti, in un anno e tre mesi sono state create e distribuite un miliardo e 300 milioni di dosi in tutto il mondo e costringere le compagnie farmaceutiche a cedere o – se vogliamo essere meno brutali – a condividere la loro proprietà intellettuale non significa compiere un atto di carità nei confronti dei paesi più poveri ma significa al contrario andare ad aggredire un principio senza il quale non avremmo avuto oggi aziende farmaceutiche capaci di non farsi trovare impreparate di fronte all’arrivo di una pandemia. E’ la ricerca sfrenata del profitto che ha spinto le aziende che oggi producono vaccini a investire in questi anni miliardi in ricerca (e non è forse un caso che le aziende più puntuali nelle consegne dei vaccini, in questi mesi, siano state quelle, come BioNTech-Pfizer che hanno scelto di non rinunciare al profitto sui vaccini, cosa che invece ha fatto AstraZeneca) e non ci vuole molto a capire che combattere quella cultura significa offrire alle aziende che ci stanno aiutando a uscire dalla pandemia meno ragioni per investire e per innovare (gli investitori, nota sempre il Wsj, saranno meno propensi a finanziare nuove ricerche sui farmaci se pensano che il loro stesso governo li tradirà sotto la pressione politica e che quindi non potranno più guadagnarci).
E’ possibile, come sostiene per esempio Bill Gates, che se anche il Wto dovesse davvero sospendere la protezione dei brevetti (sospensione dei brevetti che, detto tra parentesi, è figlia anche di una guerra commerciale sotterranea che esiste tra Stati Uniti ed Europa, perché a perderci qualcosa con la sospensione dei brevetti non sarebbe l’americana Pfizer ma sarebbe la tedesca BioNTech, ragione per cui Merkel ha dichiarato la sua contrarietà sulla sospensione dei brevetti) non sarebbe semplice per nessuno produrre vaccini dall’oggi al domani. Perché condividere un brevetto non è come condividere una ricetta e perché nella produzione dei vaccini il problema non è avere la formula magica ma è avere il know-how, le conoscenze, la catena produttiva e un sistema capace non solo di fare vaccini ma di farli anche funzionare. Non sorprende che un Luigi Di Maio o un Matteo Salvini siano entusiasti della scelta di Joe Biden di sospendere i brevetti (sul tema Draghi ha scelto di dichiarare mostrando imbarazzo, senza dire nulla: “I vaccini sono un bene comune globale. E’ prioritario aumentare la loro produzione, garantendone la sicurezza, e abbattere gli ostacoli che limitano le campagne vaccinali”). Sorprende invece che a non avere il coraggio di dire che l’innovazione e gli investimenti privati vanno a vantaggio di tutti siano leader alla guida di partiti che la cultura del profitto piuttosto che combatterla dovrebbero pensare a come proteggerla (“Biden – ha detto Enrico Letta – sfida le big della farmaceutica. #Brevettiliberi per battere la #pandemia. Civiltà”). Di un nuovo populismo cheap, onestamente, non se ne sente il bisogno.