w la deregulation
Misure preventive da rivedere e Anac da cambiare. Parla Giulio Napolitano
"Serve un sistema con meno vincoli, gare innovative, nel rispetto della normativa europea", ci dice il professore di Diritto amministrativo a Rome Tre
Deregulation, con juicio. E’ l’opinione di Giulio Napolitano, amministrativista blasonato e professore di Diritto amministrativo a Roma Tre (nonché figlio del presidente emerito della Repubblica). “Serve un sistema con meno vincoli, gare innovative, forme di cooperazione e negoziazione avanzata, ma ciò deve avvenire nel quadro della normativa europea, con alcuni caveat”. Ci spieghi meglio. “Una pa dotata di maggiore flessibilità per accelerare i tempi non può coesistere con un sistema di minacce sanzionatorie sproporzionate che funzionano da deterrente per chiunque sia chiamato a prendere decisioni in autonomia. Io penso che sia una buona idea attestarsi sui vincoli minimi imposti dalle direttive europee ma andrebbe modificato il regime di responsabilità in capo a chi deve decidere. Superiamo il sistema delle quote per i subappalti, ma cambiamo anche le funzioni delle autorità di controllo”.
Lei è favorevole alla deregolamentazione. “Io penso che per cogliere appieno i benefici di un quadro regolatorio meno rigido vadano apportati alcuni cambiamenti. Se si supera l’idea delle quote, ad eccezione di appalti speciali come ha detto il presidente dell’Anac Giuseppe Busia, bisogna garantire anche strumenti di trasparenza e responsabilità diretta del subappaltatore nei confronti della stazione appaltante per evitare che ciò diventi un escamotage volto ad aggirare regole e controlli. Negli anni non sono mancati i casi di fornitori e subappaltatori che attendono di essere remunerati nelle more di una procedura concorsuale che coinvolge il contraente generale”.
Sull’ipotesi di gare al massimo ribasso i sindacati minacciano lo sciopero generale. “Anch’io sono contrario perché il più equilibrato e articolato criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa è un punto di approdo irrinunciabile della legislazione europea. Il massimo ribasso si presta a pratiche abusive e fa perdere di vista alcuni valori nei contratti pubblici: la qualità di opere e servizi, gli standard di sicurezza, la tutela ambientale”. E che dice del cosiddetto “appalto integrato” che affida al medesimo soggetto la progettazione e l’esecuzione dell’opera? “Nella fase attuale, questo tipo di appalto può rappresentare una necessità. Dobbiamo superare la polverizzazione attuale a favore di un maggiore accentramento delle stazioni appaltanti: solo così potremo avere un credibile interlocutore di operatori privati esperti”.
La “paura della firma” nella pa resta un deterrente per chi vorrebbe snellire le procedure. “Sul punto, oltre alle recenti modifiche dell’abuso d’ufficio e dell’imputazione della responsabilità erariale, forse è arrivato il momento di fissare un tetto all’obbligo risarcitorio: uno, due o tre anni di stipendio, ma la sanzione deve essere credibile, non mostruosa, di milioni di euro come spesso viene minacciata. E poi va eliminata l’applicazione draconiana delle misure preventive, tratte dalla legislazione antimafia, a funzionari e dirigenti pubblici. E’ una cosa abnorme, tutta italiana”. Lei ha parlato di autorità di controllo: si riferisce all’Anac? “Sì, in questi anni si è caratterizzata come un occhiuto controllore ma, per essere efficace nella sua azione, dovrebbe sdoppiarsi in modo da agire con due collegi distinti quando svolge funzioni di prevenzione della corruzione e quando interviene nelle vesti di autorità di regolazione e vigilanza sui contratti pubblici. Nel secondo caso, occorre una composizione diversa che includa economisti e tecnici più orientati a tutelare l’interesse pubblico all’efficienza amministrativa e al completamento delle opere a supporto delle stazioni appaltanti. O si vigila o si collabora: l’istituzione può restare unica ma le due funzioni richiedono sensibilità e competenze distinte”.
L’Italia è inchiodata tra burocrazia e ipertrofia normativa. “Il codice dei contratti pubblici è un caso paradigmatico. Le direttive europee operano in una logica di regolazione del mercato. Nel recepirle, noi le abbiamo trasformate in una disciplina di tutta l’azione amministrativa in forma contrattuale, per di più con un’aspirazione moralizzatrice. Poi, pur essendo un codice, abbiamo modificato continuamente le norme. E lasciate alcune delle vecchie in piedi, alimentando il caos interpretativo e applicativo. Con Mario Draghi abbiamo un’occasione unica”.
sindacati a palazzo chigi