Cna spiega come la pandemia può rivoluzionare in meglio il rapporto tra impresa e credito
Servono regole flessibili: l'impianto del sistema funziona in tempi ordinari, ma è incapace di fornire risposte adeguate nelle fasi di emergenza economica e finanziaria obbligando a ricorrere alla deroga temporanea
A dispetto degli annunci e dei proclami quasi ogni giorno l’Italia ci regala evidenze dell’allergia, fino a sfiorare l’avversione, verso gli automatismi e la semplicità delle procedure. Nemmeno l’emergenza pandemica sembra scalfire il moloch della burocrazia e la foresta pietrificata della complessità normativa. Tra gli ultimi esempi la proroga della moratoria sui prestiti disposta dal Decreto Sostegni Bis. Il provvedimento ha introdotto la novità che il prolungamento non è più automatico ma serve una comunicazione da parte dell’impresa all’istituto di credito finanziatore. La proroga tuttavia opera in continuità, pertanto non dovrebbe comportare in automatico la revisione del merito creditizio. Ma se la proroga è vincolante per la banca perché introdurre un ulteriore formalismo?
E tuttavia la comunicazione non è soltanto un nuovo onere a carico dell’impresa ma il classico granello di sabbia che inceppa l’ingranaggio. Stiamo riscontrando comportamenti difformi da parte delle banche che in prevalenza manifestano una forte resistenza alla proroga. La moratoria ha dimostrato di essere uno strumento indispensabile per affrontare l’ultimo tratto del mare tempestoso provocato dalla pandemia. I segnali di ripresa che arrivano dal sistema produttivo sono incoraggianti ma i flussi di cassa generati dalle imprese non consentono ancora di passare alla fase successiva dell’exit strategy dalle misure emergenziali. L’esigenza di prorogare la moratoria è emersa in tutta evidenza da una nostra indagine su un campione significativo di imprese. L’83 per cento degli intervistati ritiene che senza la proroga non riuscirebbe a rispettare gli impegni con l’istituto finanziatore (35 per cento) o avrebbe molti problemi a farlo (48).
Istituzioni sovranazionali e le principali banche centrali predicano di mantenere ancora le misure di sostegno e raccomandano prudenza e gradualità di uscita. Insomma sarebbe veramente clamoroso che dopo aver messo in pratica politiche espansive ultra-keynesiane dimenticassimo la principale lezione dell’economista britannico: il problema spesso non è solo uscire vivi dalla sala operatoria ma sopravvivere nei giorni successivi fino alla completa riabilitazione.
Allargando lo sguardo, la vicenda della moratoria è il sintomo di un orientamento ad elevato tasso di pericolo che sta prendendo corpo all’interno dell’Europa, attraversa alcune cancellerie e pezzi delle istituzioni comunitarie. L’idea è tornare rapidamente al quadro regolatorio e normativo pre-Covid, archiviare la stagione di misure emergenziali, di deroghe e sospensioni senza considerare i tempi e le insidie per riabilitare il malato, trascurando che l’uscita dalla crisi mostra evidenti asimmetrie a livello geografico e per intensità delle politiche fiscali. Gli Stati e le banche centrali hanno somministrato potenti anestetici per scongiurare il collasso del sistema economico. Il Fondo Monetario ha stimato che gli aiuti pubblici nel 2020 hanno raggiunto la cifra astronomica di 14mila miliardi di dollari nel mondo. Considerando le misure di sostegno nell’anno in corso e l’acquisto di asset finanziari da parte delle banche centrali la dimensione complessiva dell’intervento pubblico è intorno al 25 per cento del Pil globale. Tanto per fare una comparazione, la crisi finanziaria del 2008 ha mobilitato risorse pubbliche pari a circa il 7 per cento del Pil e in larga parte sottoforma di garanzie. Numeri che mostrano la complessità e la delicatezza della manovra di rientro. Immaginare di ripristinare sic et simpliciter l’architettura normativa pre-Covid significa ignorare la portata della trasformazione provocata dalla pandemia.
La funzione primaria del sistema bancario rimane erogare credito per supportare le scelte di consumo dei cittadini e di investimento delle imprese. Le banche sono la cinghia di trasmissione della politica monetaria all’economia reale ma senza una revisione profonda dei meccanismi e delle definizioni regolamentari sarà assai complicato il ritorno a una sorta di “normalità” nei flussi di credito. Il delicato tema del credito segue quello altrettanto vitale delle regole fiscali scolpite nel patto di stabilità. La sospensione del Patto non può limitarsi a una parentesi. La pandemia ha evidenziato l’esigenza di rivederne il profilo accantonando il timore che regole flessibili possano alimentare comportamenti irresponsabili da parte di alcuni Stati in tema di finanza pubblica. Considerazione analoga per il finanziamento dell’economia reale. Il pericolo di concedere credito ad imprese senza futuro è concreto ma è senz’altro inferiore a quello opposto: non lasciare il tempo sufficiente a quelle sane e solide di poter ripagare i propri debiti.
Tre profonde crisi in appena 12 anni hanno migliorato e rafforzato la capacità di risposta ma hanno fatto emergere che l’impianto del sistema regolatorio funziona in tempi ordinari ma è incapace di fornire risposte adeguate nelle fasi di emergenza economica e finanziaria obbligando a ricorrere alla deroga temporanea (dalle moratorie al quadro temporaneo sugli aiuti di Stato). E’ auspicabile quindi sfruttare l’uscita dalla fase emergenziale per rendere anticicliche e flessibili regole concepite come fisse e rigide. Sul piano interno lo shock provocato dalla pandemia dovrebbe suggerire alcune riflessioni sul rapporto tra impresa e credito, a partire dall’allontanamento del sistema bancario dall’imprenditoria diffusa che rende quanto mai urgente rivitalizzare il sistema dei Confidi. Un’esperienza mutualistica italiana che anche in questa crisi ha dato prova di sostenere il mondo della micro e piccola impresa. In nome del pragmatismo dovrebbe essere rivista l’operatività del Fondo di garanzia per le Pmi nell’ottica di assicurare il maggiore effetto leva delle risorse pubbliche favorendo la complementarietà con le garanzie private. La pandemia ci ha insegnato che regole fisse e rigide sono strumenti superati dalla storia.
Daniele Vaccarino
presidente nazionale della Cna