I camerieri non mancano solo in Italia. Ecco cosa succede negli Stati Uniti
Il rebus di alberghi e ristoranti coinvolge anche l’America. Questione di naturale assestamento o di fiducia da ricostruire? L’incertezza post-pandemica non fa il gioco del personale, ma nemmeno delle imprese
C’è un esempio classico, in tutti i corsi base di microeconomia, per introdurre il concetto di asimmetria informativa: un emporio dove i potenziali acquirenti non hanno dati sufficienti per distinguere fra prodotti di qualità e “bidoni”, in vendita allo stesso prezzo. A queste condizioni, l’unica soluzione conveniente è quella del non scambio. Domanda e offerta ci sono, ma non riescono a incontrarsi. Che si tratti del mercato delle auto usate – come originariamente esposto da George Akerlof nel 1970 – o di quello del lavoro – mondo reale post-pandemico, 2021 –, le dinamiche di fondo sono comuni.
In Italia sono settimane che si assiste al paradosso di un'economia reale pronta a rimettersi in moto mentre non si trovano alcune figure professionali. La ripartenza all’orizzonte lascia presupporre un rimbalzo significativo anche sul fronte occupazionale, come pure suggeriscono le ultime stime Istat e del governo. Eppure ristoranti e alberghi – ma il quadro è simile anche per l’industria – si ritrovano con un posto su quattro ancora vacante, dopo aver perso 514mila lavoratori negli ultimi 14 mesi (fonte Fipe-Confcommercio).
Dalla narrazione mediatica è emersa solo la contrapposizione tra fazioni: datori di lavoro “schiavisti” contro giovani “scansafatiche”. “C’è chi preferisce andare al mare e continuare a prendere il reddito di cittadinanza”, ha commentato pure Vincenzo De Luca dalla Campania. Ma il quadro è più complesso di così. Soprattutto, non è la solita commedia esclusivamente all’italiana. Guardare gli States per credere. E per capire cosa aspettarci prossimamente, visto che dalle parti di Washington l’economia ha ripreso a carburare con qualche mese di anticipo.
Primo dato: turismo e ristorazione sono i campi più colpiti dalla crisi anche negli Stati Uniti, in proporzione addirittura maggiore rispetto all’Italia. Il tasso di occupazione al 31 marzo 2021 era crollato del 20,7 per cento rispetto ai numeri pre-pandemia. Più del triplo rispetto a qualsiasi altro settore. Dalla California alla Pennsylvania le imprese si lamentano di non riuscire a trovare abbastanza personale, come a Firenze o sul Garda.
Secondo: anche nelle ultimissime settimane, con l’economia americana tornata alla quasi-normalità – 88/100 secondo Cnn –, le assunzioni alla voce “Leisure & Hospitality” non stanno aumentando alla velocità attesa. Il National employment report dice che a maggio sono stati registrati 440mila nuovi posti di lavoro: più che in tutto il trimestre precedente, ma a un tasso di crescita del 3,31 per cento mensile (durante il ‘rimbalzo’ del 2020 aveva sfiorato il 18 per cento).
Terzo, e apparentemente sorprendente: per turismo e ristorazione i salari continuano a essere in stabile aumento, a un ritmo più sostenuto della media degli altri settori. Il trend è iniziato nel 2016 e negli Usa non ha risentito dell’impatto della pandemia. Nel frattempo però stanno crescendo anche l’inflazione e il costo della vita. Evidentemente, dati i numeri sulla disoccupazione, in modo più che proporzionale dei salari.
Resta da capire – e la questione è di grande attualità a tutte le latitudini – fino a che punto questi scostamenti di breve periodo siano destinati a risolversi nel tempo. O se invece le dinamiche dell'ultimo anno e mezzo implichino cambiamenti strutturali sulla composizione di domanda e offerta di lavoro. La crisi del turismo è un fatto immediato. Ma una pandemia globale in un mondo globalizzato comporta anche shock combinati e in larga misura imprevedibili: l'impatto psicologico sulle nuove scelte di consumo – vacanze, cene fuori – è tra i fattori che determinano le incertezze sulle aspettative di lungo termine di alberghi e ristoranti. Viceversa, i lavoratori sono potenzialmente orientati verso mestieri emergenti: la crescente digitalizzazione aumenta la dinamicità occupazionale e questo avviene soprattutto nelle fasce più giovani – i rider, ovvero camerieri mancati. Naturalmente, la tesi che i sussidi favoriscano l'impigrire dei disoccupati va di moda anche nel paese liberal per eccellenza. Ma il mismatch – “cerco ma non trovo” – fra domanda e offerta è il dato forse più eloquente: in Italia c’è una difficoltà di reperimento media di un caso su tre per le assunzioni programmate in qualunque settore.
È l’anno zero per tutti. Le imprese cercano qualifiche professionali specifiche o per periodi di tempo determinati, spesso con intere squadre di personale da formare da capo. E difficilmente riescono a individuare i candidati con le competenze richieste. I lavoratori chiedono garanzie contrattuali, temono il nero. E difficilmente hanno i mezzi per distinguere fra le tipologie di annunci. Riecco Akerlof: le informazioni però questa volta mancano su entrambi i fronti. In attesa di un update fra le parti.