Tria ci dice come l'Italia può superare la stagione della Via della Seta
L'ex ministro del governo gialloverde spiega l'approccio possibile verso Pechino di Roma e del mondo occidentale
Da ministro dell’Economia del governo Lega-5 stelle – dove non rappresentava né Matteo Salvini né Luigi Di Maio – Giovanni Tria compì la prima missione fuori dall’Unione europea in Cina, a fine agosto 2018. Sembra un secolo fa: Donald Trump, artefice della guerra dei dazi, non è più alla Casa Bianca; in Europa è finita l’era Merkel ed in Italia è tramontata la liason grillina della Via della seta. Ma la questione cinese è ancora sul tavolo e Mario Draghi all’ultimo G7 in Cornovaglia ha definito la Cina “un’autocrazia con la quale si deve cooperare”. Tria, che oggi è consulente del ministro dello Sviluppo leghista Giancarlo Giorgetti, da antico collaboratore del Foglio spiega l’approccio possibile verso Pechino dell’Italia e dell’Occidente.
“Innanzi tutto la Cina non è cambiata politicamente – Xi Jimping c’era allora è c’è oggi – ma economicamente cambia sempre. Faccio due esempi: nelle catene produttive globali sta rapidamente scalando posizioni, delocalizzando le produzioni a minor valore aggiunto ai paesi in via di sviluppo ma anche in Occidente. Secondo: la Cina non è più da tempo imitatrice di tecnologia altrui, ma produttrice e innovatrice di primo livello grazie ad una ricerca molto avanzata. E grazie agli aiuti di stato, che creano un problema di concorrenza. Questo vale per l’industria tradizionale, come la siderurgia, e per quella verde”.
Dunque come deve regolarsi l’Occidente con la Cina. “Intanto, se l’Occidente è fatto da Usa ed Europa, più Canada, Giappone e Australia, è indispensabile che ritrovi un linguaggio e un’identità comprensibili. Joe Biden è un bel passo avanti. Ma il multilateralismo non può essere ristretto a questa parte di mondo. In concreto: il 70 per cento delle transazioni globali è tuttora in dollari, ma la Cina ha la maggior produzione. E soprattutto se in quelle catene globali per un qualche motivo venisse meno la Cina avremmo un’impennata d’inflazione che minerebbe il resto del mondo. Basta guardare a ciò che accade temporaneamente in singoli settori, dalle auto elettriche per la carenza di chip all’approvvigionamento di mascherine un anno fa”.
Come si concilia la prevalenza del dollaro con la strategicità cinese nelle catene produttive? “Dopo le schermaglie iniziali per prendersi per le misure, bisogna mettersi a lavorare a una nuova Bretton Woods, la conferenza che nel 1944 definì la cooperazione commerciale mondiale. E’ un traguardo che può apparire troppo vago, ma un segnale deve essere dato dai prossimi G 20. Gli Usa tradizionalmente vantano la supremazia nel Fondo monetario internazionale con i diritti speciali di prelievo, che la Cina soffre tra l’altro sollevando ora un tema attualissimo, il controllo delle banche centrali sulla moneta in era di criptovalute e valute virtuali, come Libra di Facebook. Fabio Panetta, il nostro rappresentante nel board della Bce, dice cose molto sensate sulla necessità di tecnologie adeguate anche rinnovando la moneta fisica; ma siamo indietro”.
La Cina è un’autocrazia, dice Draghi. “Ovvio che lo è, Hong Kong lo dimostra se ce ne fosse bisogno. E allora? L’Europa, l’Italia e gli Usa hanno sempre collaborato con le autocrazie anche quando erano duri regimi. Inoltre: non possiamo limitarci a criticare l’influenza cinese in Africa e Medio Oriente se noi stessi, europei e americani, non abbiamo un vero piano per l’Africa, per la Libia, per le sponde mediterranee”. L’Italia ha una questione cinese? “Direi che l’Italia ha una questione italiana, e per fortuna c’è Draghi. Il problema non è solo ottenere e spendere bene i soldi europei, anche perché 40 miliardi l’anno da soli non fanno una reale differenza.
L’handicap sono le riforme, che mancavano nel precedente Pnrr, mentre sono vitali per far tornare gli investimenti, la fiducia, i consumi, il reddito, la ricchezza. Si chiama rischio legale, ed è costituito dalla imperscrutabilità dell’attività giurisdizionale. Chiunque nel mondo non riesce a capire i labili confini in Italia tra diritto amministrativo, civile e penale. Finora Draghi ci ha messo la sua enorme reputazione, nonché il fatto che già da prima, alla presidenza della Bce, aveva non solo salvato l’euro ma invitato l’Europa a superare l’austerità fine a se stessa. Come si possono avere vincoli di bilancio uguali per tutti quando le politiche fiscali sono logicamente affidate alla politica? La distinzione tra debito buono e cattivo è fondamentale. Da questa dipende il proseguimento della via degli eurobond, dopo la prima buona ma timida emissione”.