C'è un giudice a Guangdong
Un'azienda di Ravenna ha fatto causa in Cina contro una ditta che aveva contraffatto il suo catalogo. E ha vinto. Non è la prima volta ed è il segnale di un (lento) cambio di rotta a Pechino sul furto di proprietà intellettuale
L’alta corte di Guangdong ha emesso dieci sentenze contro la Rose Mosaic, una ditta cinese che da anni copiava i cataloghi della Sicis, un'azienda di Ravenna specializzata nel settore del mosaico. La Rose Mosaic dovrà risarcire oltre un milione di dollari, cessare la produzione e la distribuzione dei prodotti contraffatti, distruggere i cataloghi che riproducevano le immagini di Sicis e cancellarle dai propri profili web. Uno dei punti più rilevanti è l’obbligo per la società cinese di pubblicare alcuni post di scuse su WeChat - il social network più influente in Cina - per 12 mesi e di pubblicarle anche su testate nazionali e locali una volta al mese per i successivi 24 mesi.
Anche in altri casi di "tarocchi" ai danni del made in Italy, le sanzioni dei tribunali cinesi hanno seguito una formula simile. Nel marzo scorso, il gruppo Bonaveri di Renazzo di Cento (vicino Ferrara) ha vinto la causa contro il marchio fashion cinese Ellassay, che aveva copiato i suoi manichini per l'alta moda. Oltre ai 50 mila euro di risarcimento, la corte di Shenzhen ha condannato i contraffattori a presentare pubbliche scuse sul quotidiano economico Shenzhen Economy Daily. Un mese prima la Fabbri, azienda dolciaria di Bologna - quella dell'Amarena in sciroppo, per intenderci - ha viso protetto dal tribunale di Shanghai il suo tipico packaging decorato in bianco e blu dal plagio di un paio di aziende concorrenti cinesi. Non sono solo le aziende italiane ad avere ragione degli imitatori cinesi. Sempre a febbraio 2021, un tribunale cinese ha assegnato a New Balance un risarcimento danni da un milione e mezzo in una causa intentata dal marchio di abbigliamento sportivo americano contro due società locali per aver copiato il logo con la "N" obliqua. Anche Burberry e Michael Jordan hanno vinto alcune cause nel paese del Dragone.
Il furto di proprietà intellettuale è un grosso problema nei rapporti commerciali con Pechino. Uno dei due atti d’accusa rilasciati nel 2019 dal dipartimento di Giustizia americano contro il gigante cinese delle telecomunicazioni Huawei, quello riguardante il furto di proprietà intellettuale nei confronti dell’operatore telefonico T-Mobile, ha fornito una prospettiva fondamentale sui metodi con cui l’impresa cinese è diventata dominante nel mondo: secondo Washington questo genere di furti era incoraggiato e premiato.
Tuttavia ora Pechino vuole dimostrare che c'è stato un cambio di rotta. Il tentativo è quello di accreditarsi sempre più in ambito internazionale come difensore della proprietà intellettuale. "Il governo cinese vuole dimostrare di essere davvero intenzionato a proteggerla", ha detto al Financial Times Wu Yuheng, legale dello studio DeHeng di Chengdu, specializzato nel settore. "Questa è la chiave per attirare gli investimenti esteri di cui la Cina ha ancora un gran bisogno". Anche l'avvocato Echo Xu della Kangxin Partners, ha spiegato a The Fashion Law che la Cina “ha fatto della protezione della proprietà intellettuale una strategia nazionale” e ha citato una recente dichiarazione del vicepresidente del tribunale per la proprietà intellettuale di Pechino: "L'era della contraffazione è finita", ha detto il magistrato. Ci sono anche altri elementi da tenere in conto. Il cambio di strategia potrebbe essere dovuto anche al fatto che il gigante asiatico ha intrapreso la strada della produzione di alta qualità e adesso rischia a sua volta di essere oggetto di contraffazione. C'è poi un aspetto "interno". Nel caso di Burberry, per esempio, il tribunale ha considerato anche le diffuse lamentele dei consumatori cinesi, che acquistavano prodotti contraffatti mentre la loro intenzione era quella di comprare prodotti del marchio di lusso britannico.