Recovery dei risparmi: come si sblocca l'altro tesoro italiano

Mariarosaria Marchesano

I 200 miliardi accumulati in un anno, i 1.800 miliardi sui conti correnti. Che fare? Un girotondo tra esperti

Perché gli italiani tengono quasi 1.800 miliardi di risparmi sui conti correnti (per la precisione, 1.774 a fine maggio 2021, secondo l’ultima stima fornita dall’Abi a maggio di quest’anno) accettando di guadagnare zero o addirittura di rimetterci? Il fenomeno non è nuovo, ma si è accentuato da quando è scoppiata la pandemia perché in poco più di un anno la liquidità sui depositi bancari è cresciuta di 200 miliardi, una cifra che, come osserva Giovanna Paladino, direttrice del Museo del risparmio, è pari a quella del Pnrr. “Praticamente è come se si fosse creato un Recovery plan parallelo rappresentato dalle risorse che i cittadini hanno messo da parte durante i vari lockdown – dice – ma sbloccarlo non sarà facile. Gli italiani sembrano paralizzati dalla paura. E che cosa fai quando hai paura? Stai fermo come quando vedi un orso”. Secondo Paladino, il timore di dover affrontare situazioni di emergenza non trova a prima vista una spiegazione razionale considerando che la ripartenza è tutto sommato cominciata e i contagi sono crollati. E’ per questo che, a suo avviso, bisogna partire da un’analisi dei comportamenti delle persone per capire come si può agire per evitare che questa ricchezza si trasformi in una diseconomia del sistema. Partiamo da un dato: il patrimonio (investito) delle famiglie, complessivamente pari a circa 10-11 mila miliardi di euro, è suddiviso tra 4-5 mila miliardi destinati ad attività finanziarie e circa 6 mila miliardi in immobili. Tale ricchezza è stata costruita soprattutto dalla generazione del dopoguerra, quando si è formata la classe media italiana.

Adesso a guidare le scelte sembra essere l’incertezza per il domani. “Tenere liquidità sui conti correnti è diventata una sorta di assicurazione contro gli imprevisti”, dice al Foglio Paolo Legrenzi, professore emerito di psicologia cognitiva presso l’Università Ca’Foscari di Venezia e studioso di fama internazionale di finanza comportamentale. “Spesso si sente dire che questi soldi devono essere disponibili nel caso succeda qualcosa. Ma cosa deve succedere? Per coprirsi dai rischi di eventi imprevisti basterebbe sottoscrivere una vera polizza assicurativa che, tra l’altro, costerebbe anche meno rispetto a tenere troppa liquidità sul conto corrente. Intanto, le persone perdono l’opportunità di migliorare la propria posizione economica grazie a un utilizzo attivo del denaro come succede ai risparmiatori di tutto il mondo”. Legrenzi, che sul tema ha pubblicato diversi saggi (l’ultimo, appena uscito e scritto a quattro mani con Leopoldo Gasbarro, s’intitola “Ricchi per la vita”) dice che gli italiani sono sempre stati pessimi gestori dei propri soldi, ma mai come adesso che paura e incertezza li spingono verso l’immobilismo. “Esistono vere trappole mentali ed emotive in cui è facile cadere a causa di esperienze passate o di errate convinzioni, a maggior ragione in un periodo di crisi come quello attuale – riflette –. Tendiamo a percepire le cose conosciute come poco rischiose, ma non c’è niente di più ingannevole. Se, per esempio, si mettono a confronto i rendimenti che hanno avuto negli ultimi decenni gli investimenti finanziari con quelli negli immobili, si vede che i primi sono stati molto più alti dei secondi che, complessivamente, non hanno coperto neanche l’inflazione. Ma gli italiani restano convinti che comprare case rappresenti il modo migliore per mantenere il capitale al sicuro, il che non è vero”. Legrenzi entra nel merito citando dati internazionali che evidenziano come, per esempio, gli Etf legati alle azioni quotate sulla Borsa americana abbiano generato dal 2010 ad oggi un rendimento medio annuo dell’otto per cento e proprio per questo rappresentano un punto di forza nei portafogli di qualsiasi investitore avveduto. “Ma i piccoli risparmiatori italiani sono o disinformati o troppo pigri – dice –. Basti pensare che su 10 mila miliardi di ricchezza complessiva investita solo 108 miliardi sono destinati a questi strumenti nonostante abbiano un trend positivo ormai consolidato”.

 

Il rischio di impoverimento da ignoranza finanziaria è tanto più vero se si considera che le banche stanno aumentando i costi dei conti correnti per cercare di compensare quello che pagano depositando il denaro presso la Bce a tassi negativi. Il direttore generale dell’Abi, Giovanni Sabatini, spiega al Foglio che “la liquidità in conto corrente oggi ha una redditività media lorda dello 0,03 per cento, tre centesimi all’anno, gravata dal 26 per cento di imposte e dunque si tratta di risorse improduttive per il risparmiatore e per l’economia e per lo stato. Occorre pertanto creare condizioni favorevoli perché questo risparmio si indirizzi liberamente e responsabilmente in investimenti produttivi”. Per Sabatini sarebbe “primario interesse dei cittadini indirizzare i risparmi verso forme di investimento che possano contribuire a integrarne il reddito, specie in una prospettiva di medio lungo termine e tenendo conto del livello di propensione al rischio. Allo scopo sarebbero utili adeguati incentivi e una minore pressione fiscale sugli investimenti a medio-lungo termine, non solo quindi sui titoli del debito pubblico”. E se fosse la sfiducia negli intermediari finanziari a determinare la scarsa propensione agli investimenti? “E’ piuttosto l’incertezza legata all’evoluzione della crisi sanitaria a spiegare la cautela – replica Sabatini – ma il progetto Next Generation Eu, non solo per l’entità delle risorse ma soprattutto quale segnale di rinnovato spirito europeo, sta agendo nella direzione di imprimere nuova fiducia”. 


Il problema della liquidità inutilizzata riguarda soprattutto i piccoli e piccolissimi risparmiatori, che non possono permettersi i costi di un gestore o di un consulente. A questo pubblico sono stati indirizzati negli ultimi anni i Pir, i piani individuali di risparmio, ma dopo l’iniziale euforia c’è molta incertezza su quale sarà il rendimento finale alla scadenza tra costi di gestione e andamento altalenante dell’azionario italiano al quale sono stati vincolati. “Dobbiamo imparare dagli errori del passato se vogliamo dare un indirizzo costruttivo alla liquidità improduttiva – aggiunge Giovanna Paladino –. Sarebbe auspicabile un’azione congiunta tra pubblico e privato per creare prodotti finanziari attraenti e allo stesso tempo adeguati al livello di rischio che queste famiglie sono in grado di sopportare. Non dimentichiamo che i 200 miliardi depositati sui conti correnti dall’inizio della pandemia sono frutto del lavoro delle persone che hanno pagato le tasse. Una qualsiasi ulteriore forma di imposizione fiscale sarebbe iniqua”.

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