Perché Cairo non è pessimista per il suo futuro con Blackstone
Chiesti 506 milioni di danni all'editore, ma la guerra delle (esorbitanti) cifre potrebbe diventare un boomerang per lo stesso colosso americano
Malicious in inglese vuol dire malizioso, ma non come lo intendiamo noi italiani per i quali l’attributo ha un che di leggiadro; per i rocciosi anglosassoni significa piuttosto malevolo, maligno; se si tratta di un atto va tradotto con dannoso. L’aggettivo è stato usato dai legali di Blackstone per giustificare la richiesta di danni per (600 milioni di dollari) 506 milioni di euro a Urbano Cairo e a Rcs presentata alla corte suprema di New York. La somma è del tutto fuori dalla realtà, secondo lo studio Erede che assiste l’editore. E la Grande Mela non è la sede naturale visto che il casus belli, l’immobile di via Solferino, è a Milano dove risiedono sia la Rcs sia Cairo editore. La contromossa, dunque, fa leva sui punti fermi già emersi mentre è stato presentato l’appello contro il lordo arbitrale del 28 maggio scorso. I tempi del contenzioso giudiziario si allungano, anche se in realtà c’è voglia di trovare un compromesso onorevole per fugare questa cappa che alla lunga finisce per pesare sulla vita e la gestione del primo gruppo editoriale italiano, bersagliato naturalmente dai concorrenti e messo in ansia dalle voci ricorrenti su una possibile azione della Consob perché la Rcs non ha accantonato in bilancio una somma adeguata a far fronte ai rischi legali. C’è da chiedersi quale sarebbe la somma adeguata se il patrimonio netto della Rizzoli Corriere della Sera arriva solo a 309 milioni.
La guerra delle cifre potrebbe diventare un boomerang per Blackstone: il fondo americano ha pagato i palazzi di via Solferino e via San Marco 120 milioni di euro e solo con l’affitto versato dalla Rcs avrà intascato poco più di 80 milioni alla fine di quest’anno. Nessuno ha minacciato la proprietà del complesso: se Blackstone lo mettesse in vendita di nuovo, ora che il mercato immobiliare risale, potrebbe ricavare persino più dei 250 milioni di euro offerti da Allianz. Secondo alcune stime, tenendo conto dei tassi di rendimento, oggi si è rivalutato di almeno 60 milioni di euro. Quanto al malicious, è del tutto fuori luogo. E ciò in punta di diritto, secondo i legali italiani. Il lodo arbitrale emesso dal tribunale di Milano, infatti, pur respingendo la richiesta di risarcimento rivolta a Blackstone, sancisce che non non è stata intentata alcuna “lite temeraria”. Insomma, si tratta di uno scontro di interessi legittimo e in buona fede, Cairo una volta preso il controllo della Rcs ha trovato il prezzo sfavorevole per il venditore, tenendo conto dell’affitto annuo di 11,6 milioni di euro. Gli avvocati hanno ritenuto che ci fosse lo spazio legale per fare ricorso e tutelare il patrimonio della casa editrice. Punto.
Non c’è malizia (in senso anglosassone), non c’è danno, non c’è intento ricattatorio vista la difficile situazione finanziaria in cui si trovata allora la Rcs (questa l’accusa rivolta a Blackstone). Perché continuare a farsi del male? E alimentare rumori fuori scena, voci in borsa, scenari apocalittici sulla stampa, strologando su possibili cordate alternative nel caso in cui Cairo fosse costretto a mollare, magari a vendere l’argenteria dove spicca naturalmente proprio il Corriere della Sera. Sul mercato c'è chi ipotizza la creazione di una fondazione alla quale lasciare la gestione del Corsera e chi prospetta nuovi e vecchi soci in arrivo. Si azzardano i nomi di Leonardo Del Vecchio salito al 19 per cento di Mediobanca, collegato a Cairo dall'avvocato Erede, delle famiglie Pesenti e dei Rotelli disposte a tornare nell’azionariato o di banche come Intesa pronte a dare una mano. La borsa non ha penalizzato il titolo Rcs, ma non c’è nemmeno odore di polvere da sparo. Un pari e patta, finiamola qui, farebbe contento Cairo il quale, però, da accorto uomo d’affari nonché smaliziato uomo di mondo, non s’illude che Blackstone batta in ritirata. Tuttavia il fondo americano ha in Italia un ampio ventaglio d’interessi e le battaglie di principio, i punti d’onore o tanto meno le ripicche, non vanno d’accordo con gli affari.