La versione di Cna
Semplificazioni e flessibilità: una “rivoluzione gentile” per l'Italia
Avanti con il cantiere delle riforme, anche del titolo V. La centralità della piccola impresa, ingranaggio insostituibile per il motore della crescita
La fine del blocco dei licenziamenti generalizzato segna l’avvio concreto dell’exit strategy rispetto alle misure emergenziali per fronteggiare gli effetti della pandemia. La soluzione individuata inoltre consente di togliere dal tavolo un potenziale elemento di tensione sociale che sarebbe deleterio nella fase di accelerazione del ciclo economico. Tuttavia, non bisogna cadere nella distorsione ottica di immaginare che il ritorno graduale alla normalità significhi ripristinare una comfort zone per il sistema delle imprese, soprattutto micro e piccole. Due decenni a crescita zero sono la testimonianza che la pandemia ha soltanto amplificato la sequenza di problemi strutturali che rendono impervio il percorso dello sviluppo economico e sociale.
L’Italia ha bisogno di una “rivoluzione gentile” per ripensare il proprio modello e recuperare senso e visione del futuro. Una discontinuità per rispondere al cambio di paradigma imposto dalla pandemia che si è rivelata un acceleratore delle trasformazioni di cui si scorgevano solamente i profili. Semplificazioni e flessibilità sono la pietra angolare per imprimere la svolta positiva. Due termini che devono entrare nel vocabolario quotidiano della politica e delle istituzioni, nazionali e anche europee. Negli ultimi 20 anni le crisi e gli shock sono stati la costante e le frequenti emergenze hanno mostrato tutti i limiti di meccanismi e ingranaggi rigidi e complessi.
Il Patto di stabilità europeo, il quadro normativo sul credito, l’architettura fiscale e del lavoro vanno ripensati profondamente per promuovere la creazione di un ambiente favorevole alla crescita. Il sistema delle imprese non sta chiedendo la versione 4.0 del “laissez-faire” che il mercante Le Gendre proponeva al ministro delle finanze Colbert, ma riscoprire, piuttosto, Niccolò Machiavelli, secondo il quale le tasse devono essere poche e semplici, un precetto ignorato nella terra del Principe ma che ha ispirato e plasmato il mondo anglosassone.
La progressiva uscita dall’emergenza pandemica sta facendo emergere un paese dalle straordinarie energie e capacità, e il mondo dell’artigianato ne è l’emblema. La vitalità di micro e piccole imprese, le doti di adattamento e flessibilità trovano conferma nei numeri. Già ad aprile l’occupazione nell’artigianato e nelle piccole imprese è aumentata dello 0,4 per cento sul mese precedente mentre il tasso di natalità delle imprese artigiane evidenzia una variazione positiva dello 0,2 per cento sull’anno scorso, il primo incremento dopo oltre 10 anni di continui ridimensionamenti di questa platea d’imprese. Le condivisibili motivazioni sociali che hanno portato a “ibernare” il sistema produttivo durante la pandemia non devono far dimenticare che il blocco dei licenziamenti non ha impedito la perdita di oltre 900 mila occupati evidenziando un sistema che salvaguardia i posti di lavoro ma trascura i lavoratori. Più che mai servono strumenti efficaci per le politiche attive, per favorire ogni occasione di crescita dell’occupazione e la mobilità verso quei settori che scontano tassi di posti vacanti maggiori anche di tre volte la media nazionale con picchi proprio nelle micro imprese.
In termini percentuali il pil italiano crescerà quest’anno con una dinamica superiore a quella della Germania, così come l’aumento del valore dell’export e con differenziali che non si vedevano dagli anni 60. Ma la ripresa non è omogenea, presenta asimmetrie territoriali e di settore che vanno affrontate con pragmatismo, distinguendo le esigenze di riorganizzazione e ristrutturazione da quelle di assecondare una ripresa che si sta intensificando. Nel complesso, tuttavia, è un quadro che conferma la centralità della piccola impresa quale ingranaggio insostituibile per il motore della crescita.
In questa fase un governo sostenuto da una larghissima maggioranza consente di sostenere lo sforzo straordinario per definire e guidare il cambiamento che poggia sulle risorse senza precedenti del Next Generation Eu e prima ancora sulla capacità di scrivere riforme efficaci con una visione coerente. In 20 anni le 11 riforme della Pubblica amministrazione non hanno prodotto valore aggiunto, i continui interventi parziali sul fisco hanno scardinato qualsiasi principio di equità, sostenibilità e semplicità. Il cantiere delle riforme deve procedere con la velocità e la qualità mostrati per ricostruire il ponte Morandi.
Sul percorso delle riforme, tuttavia, manca una tappa di notevole importanza: rivedere il titolo V della Costituzione e le materie in concorrenza tra stato e regioni. Nella gestione dell’emergenza pandemica tutti gli stati federali hanno evidenziato maggiori difficoltà ma il nostro federalismo ai limiti del folcloristico ha evidenziato che l’interesse generale non può essere subordinato a sterili esigenze identitarie. La dispersione delle competenze tra stato, regioni e comuni rappresenta un vulnus ad alto potenziale per mettere a terra gli investimenti previsti dal Pnrr in particolare sulle missioni della rigenerazione urbana, dell’economia circolare e della mobilità sostenibile. È una riforma difficile da realizzare per la ampia ma eterogenea maggioranza, ma si combattono le battaglie giuste, non solo quelle che si possono vincere.
Sergio Silvestrini, segretario generale Cna