Editoriali

Il costo delle scorie Nimby

I danni dell’Italia nel no che blocca la costruzione dei siti per i rifiuti radioattivi

E’ scaduto oggi il termine di 180 giorni utili agli enti locali per presentare le osservazioni alla Carta delle aree potenzialmente idonee per ospitare il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi. La mappa, attesa da anni, è stata pubblicata a sorpresa il 5 gennaio dai ministri dell’Ambiente Costa e dello Sviluppo Patuanelli. La sua pubblicazione è stato uno degli atti più importanti del governo Conte poiché la cosiddetta Cnapi, pronta da tempo, era tenuta nel cassetto per ragioni politiche. Eppure la desecretazione era necessaria per procedere con la realizzazione del deposito, il cui ritardo ha già fatto condannare l’Italia dalla Commissione europea per infrazione comunitaria. Dal 2011 l’Unione europea ha stabilito che ogni stato membro deve dotarsi di un programma di gestione in sicurezza delle scorie, dalla loro generazione fino allo smaltimento finale. L’Italia è uno dei pochi stati a non averlo, spendendo circa 60 milioni di euro all’anno per portarli in Francia e Inghilterra.

 

Secondo l’accordo di Lucca firmato nel 2006 questo stoccaggio è solo temporaneo e i rifiuti momentaneamente depositati oltralpe dovranno rientrare in Italia entro il 2025. Se tutto va bene, grazie all’iter avviato il 5 gennaio, si arriverà al  2030 (cinque anni dopo). La mappa è composta da 67 aree potenzialmente idonee individuate, anche queste dopo un  percorso durato anni, dalla Sogin nel rispetto di indicazione europee molto dettagliate. Ma i territori sono insorti, tutte le regioni coinvolte si sono opposte, senza differenza di colore o geografia. Tutte naturalmente dichiarando non ragioni egoistiche, di Nimby o contrasto politico, ma geologiche, morfologiche, agricole, turistiche, etc. In Italia si preferisce lasciare i depositi radioattivi (in larga parte provenienti da rifiuti ospedalieri) a cielo aperto anziché in un deposito sicuro, sostenibile, indispensabile per il rispetto dell’ambiente, e che con 1,5 miliardi di investimento pubblico darebbe lavoro a 2 mila persone. Dal 2001, invece,  abbiamo pagato 4 miliardi nella bolletta elettrica per i depositi temporanei. 

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