Vince Emiliano. Perché la nuova Ilva pubblica parte male
Altre tredici settimane di cassa integrazione, e un decreto ad hoc per giustificare ammortizzatori specifici per l'acciaieria. Ecco i risultati del tavolo a cui Giorgetti ha convocato i presidenti di regione ma non le associazioni di categoria
Taranto. Altre tredici settimane di cassa integrazione. Si aspettava il ministro Giorgetti per avanzare questa grande e nuova proposta per Ilva pubblica. Dopo l’accordo per la statalizzazione firmato a dicembre 2020 per l’ingresso pubblico sul nuovo piano industriale a tre altoforni e uno elettrico, si è dovuto prima attendere due mesi per l’investimento arrivato solo in seguito alla messa in mora di ArcelorMittal verso l’ad di Invitalia Domenico Arcuri (che ha scaricato la responsabilità del ritardo sul Mef); poi per mesi il governo ha detto di aspettare la sentenza del Consiglio di Stato, infine ci sono voluti tre giorni di occupazione dei sindacati di Genova per arrivare all’incontro al Mise che ha proposto altre 13 settimane di attesa e un decreto ad hoc per giustificare una cassa integrazione Covid solo per Ilva.
Questo è il risultato per aver riunito un tavolo Ilva convocando i presidenti di regione anziché Federacciai, con Emiliano al posto di Cingolani. Il presidente della Regione Puglia scendendo dal Mise insieme a Mara Carfagna ha parlato di vertenza meridionale e di fronte ai sindacati, che già in passato aveva accusato di averlo mobbizzato su Ilva, ha chiesto ancora una volta la chiusura dell’area a caldo. Ma al posto di Giorgetti ci ha pensato il presidente di Confindustria a rispondergli: “La seconda manifattura d’Europa ha bisogno dell’acciaio a ciclo integrale, noi parliamo di Taranto con chi parla di futuro non di allevamenti di cozze” ha detto ieri Carlo Bonomi al Petruzzelli.
Non a caso proprio mentre Giorgetti era al tavolo con Emiliano, il maggior esperto italiano di siderurgia, già presidente di Federacciai Antonio Gozzi, presentava il progetto che Confindustria ha affidato alla Boston Consulting (già consulente del Governo su Ilva) per la decarbonizzazione dei settori hard to abate. "La produzione di idrogeno verde ora è molto costosa e richiede ulteriori energie rinnovabili aggiuntive a quelle degli attuali piani energetici – ha detto Gozzi – Se consideriamo che non riusciamo ad installare già ora i GigaWatt previsti dal PNIEC, capiamo che installarne un surplus per l’idrogeno verde ora non è pensabile. La tecnologia è certamente molto interessante, ma non risolverà i nostri problemi da qui al 2030, semmai dal 2030 al 2050”.
Nel frattempo di Ilva che si fa? Non sapendo rispondere a queste domande, Giorgetti invita al tavolo Emiliano e non Antonio Gozzi, Carfagna e non Cingolani. E infatti i sindacati sono rimasti molto delusi e hanno definito la perdita di tempo del governo un atteggiamento inaccettabile annunciando sciopero per il 20 luglio. “C’è una totale confusione e si rimane appesi alla sentenza di turno senza avere un programma industriale di lungo periodo” ha commentato il segretario nazionale della Uilm Rocco Palombella. Del resto che il governo stia facendo un decreto speciale per una cassa Covid solo per Ilva conferma che aveva ragione la Fiom a dire che l’azienda non poteva chiedere cassa integrazione ordinaria per una crisi di mercato che non c’è. La domanda di acciaio infatti è molto alta, i prezzi crescono, la Cina mette una tassa del 15 per cento su quello esportato, e noi teniamo inspiegabilmente Ilva ferma. E mentre l’amministratore di Acciaierie D’Italia vanta un eccellente risultato di bilancio per il 2020, la Sanac in amministrazione straordinaria, storica azienda dell’indotto, gestita ancora dai commissari Laghi, Gnudi e Carruba, non riesce a pagare la cassa integrazione a 335 dipendenti perché avanza 40 milioni di crediti non pagati da Ilva. Non sarà un caso che per la prima volta è tornato a parlare Gianpiero Castano, che per dieci anni ha presieduto la task force crisi industriali al Mise prima di essere mandato via da Luigi Di Maio: “Anche Invitalia pensa che i 400 milioni già versati siano rientrati nelle casse dello Stato come sostiene l’AD di Acciaierie d’Italia”? Personalmente non credo ci sia qualcuno, tra gli estensori di quell’accordo e soprattutto tra quanti lo hanno politicamente avallato, che pensi una cosa del genere”.