Progetto Italia
Costruire tra stato e mercato. Salini ci spiega dove va WeBuild
“Il nostro programma va avanti con forza con l’obiettivo di essere sempre più il campione nazionale delle costruzioni e della progettazione. Lo spazio c’è", dice l'amministratore delegato
Pietro Salini parla con il Foglio del disimpegno da Webuild – di cui è amministratore delegato e la famiglia maggiore azionista – della Cassa depositi e prestiti, anticipata ieri su queste pagine. Non la smentisce (i colloqui e qualche precisazione sono ovviamente in corso), ma tiene a rilanciare: “Il nostro progetto, che non per nulla si chiama Progetto Italia, va avanti con forza con l’obiettivo di essere sempre più il campione nazionale delle costruzioni e della progettazione. Lo spazio c’è: oggi il 33 per cento del nostro portafoglio ordini è in Italia, quattro anni fa rappresentava il 7 per cento. Non è indice di minore internazionalizzazione se pensiamo che i nostri diretti concorrenti in Spagna e Francia realizzano a casa loro il 70-80 per cento”.
A sostegno, le percentuali di ordinativi all’estero: il 33 in Nord America, il 10 in Australia, il 9 in Africa, il 6 nel resto dell’Unione europea. Seguono Sud America, Asia, Medio Oriente. Ma oltre a questo la crescita italiana è dovuta a tre altri fattori: “Dal 2009 abbiamo acquisito gruppi come Todini, Impregilo fino ad Astaldi. Può apparire ad alcuni una logica monopolista ma la crescita e la modernizzazione impone di fondersi. Impone anche di uscire dal nanismo che affligge il capitalismo italiano, con le conseguenze che sappiamo a partire dalle difficoltà nell’accesso al credito”. Il secondo fattore è il ricorso progressivo al mercato azionario: “L’azienda familiare è a tutti gli effetti un’azienda di borsa. La Cdp è entrata con logica di mercato, e secondo la stessa logica è stata retribuita. Lo stesso per le tre banche azioniste, Intesa, Unicredit e Bpm”. Qui è inevitabile una precisazione sulla retribuzione del top management approvata dal cda quando alla Cassa c’era Fabrizio Palermo e invece non votata in assemblea dopo l’arrivo di Dario Scannapieco: “Si tratta di un automatismo regolato da vari parametri approvato poi nel comitato remunerazione anche dalla Cdp; quello al quale si sono opposti in assemblea è il perpetuarsi del meccanismo. Io da parte mia ho rinunciato alla metà della parte variabile della retribuzione”.
Chiusa la parentesi, il terzo settore di crescita è inevitabilmente rappresentato dal Piano nazionale di riforme (Pnrr) e dall’arrivo dei fondi europei di Next generation Ue. Sul quale, per ciò che riguarda i tempi, il capo azienda ha un segnale da lanciare: “La prima tranche arriverà a settembre, bene. Ma perché aspettare tre-quattro mesi per far partire i cantieri? E ovviamente non parlo solo di quelli che ci riguardano. Quattro mesi sono un terzo di un anno, un terzo di Pil, il ritardo corrisponde ad un terzo di ricchezza annua in meno, alla conseguente attesa di centinaia di migliaia di lavoratori e famiglie. Dunque: partiamo con i fondi pubblici secondo i progetti del Piano, una volta tanto anticipiamo l’Europa, non aspettiamola”.
I cantieri italiani valgono 7,5 miliardi solo per quelli già operativi, coinvolgendo 7 mila imprese, mentre quelle che lavorano con Salini nel resto del mondo sono 15 mila. I contratti maggiori sono il terzo valico ferroviario di Genova, la linea 4 della metropolitana di Milano e la linea C di Roma, due lotti della galleria del Brennero, parti dell’Alta velocità Napoli-Bari. Fino a dicembre 2021 Webuild ha ricevuto nuove commesse che impiegano 720 addetti in più su un totale di 76.888 per i progetti in corso; numeri che aumentano, per la nuova manodopera, a 2.962 a fine 2022 ed a 7.029 a dicembre 2023. Pietro Salini è però preoccupato per quelli che giudica eccessi o “cedimenti alla retorica corrente” dei progetti europei: “Quando si parla di ambiente e sostenibilità è bene precisare. Nel solo nostro settore calcoliamo un aumento dei costi dell’1,3 per cento. Nell’automotive che facciamo: rottamiamo nei prossimi anni l’intero parco macchine? Tutti vogliamo un ambiente migliore, ma chiediamoci seriamente a quale prezzo e chi paga. Gli incentivi pubblici? E questi, a loro volta, chi li finanzia?”. Sarebbe meglio impegnare una parte di queste risorse, dice “per cambiare i sistemi scolastici dove ce n’è bisogno, come in Italia. Le famiglie considerano ancora di serie b mandare un figlio a un istituto tecnico o professionale. Manca la formazione, manca il rapporto pubblico-privato, il risultato è che poi manca il lavoro anche dove serve e l’offerta ci sarebbe. Dunque, basta con i sussidi”.