La crisi dei microchip manda in tilt la produzione di auto
I componenti elettronici sono ormai parti fondamentali dei veicoli moderni. Ma il Covid ha travolto il mercato, e finora le case automobilistiche sono state prese in contropiede
Il dilagare della pandemia, un evento forse non imprevedibile, ma di certo imprevisto, ha portato in piena luce diverse criticità annidate in vari settori. Tra i più scossi vi è quello dell’automobile, stretto dalla necessità di dover rispettare normative e obiettivi ambientali sempre più stringenti e la paradossale situazione di non poter soddisfare adeguatamente la domanda, non per mancanza di modelli, ma per la difficoltà ad assemblarli e farli arrivare nei saloni dei concessionari.
Il motivo va ricondotto a quella che ormai è già passata alla storia come la crisi dei chip. Le automobili moderne sono ormai zeppe di elettronica, che per poter funzionare necessitano di un gran numero di microchip, gli stessi dei nostri telefoni, personal computer, videogiochi e consolle, ma anche ormai televisori, con schermi sempre più grandi e svariati elettrodomestici più o meno smart, come si usa dire. Tanto che nel paese dove per primo è avvenuta la motorizzazione di massa, gli Stati Uniti, la situazione – per un crescente e interrelato numero di concause – pare più fuori controllo che altrove Non solo non si trovano più automobili nuove da acquistare, ma addirittura iniziano a scarseggiare anche quelle usate. Rinviamo a un’altra volta la battuta e l’approfondimento su quanto le varie forme di mobilità più o meno condivisa dovrebbero ridurre la richiesta di auto di proprietà (ogni auto in car sharing toglie dalla strada 6, 8, 14 auto private, questa la frase letta e sentita più volte), ma è un fatto che, appena hanno potuto, gli americani, e non solo, hanno cercato di comprare un mezzo proprio per spostarsi. Solo che venire in possesso di un’auto nuova spesso si sta rivelando questione alquanto complessa. Ma perché sta avvenendo tutto ciò?
Lo scorso anno, mentre il mondo iniziava a rallentare per fermarsi del tutto, ha cominciato a rallentare e fino a fermarsi non solo la produzione di automobili, ma pure quella dei chip e dei componenti necessari per produrli. Nel frattempo, però è ripresa sostenuta la domanda di apparecchi elettronici acquistati per diletto e maggior confort domestico e per poter lavorare o seguire la scuola da casa. C’è stato quindi un primo effetto domino di fermate e chiusure a catena che ha visto coinvolti e in alcuni casi venire a mancare anche dai grandi clienti come l’autonoleggio, con Hertz che proprio per le conseguenze del nuovo coronavirus ha presentato istanza di fallimento, già a fine a maggio 2020, in Stati Uniti e Canada, vendendo naturalmente – e a prezzi di saldo – tutta la flotta.
Con le prime riaperture però le cose sono cambiante e la corsa, a quel punto è stata inversa, solo che tra i tanti acquirenti di chip e componenti elettronici le case automobilistiche sono state quelle più prese in contropiede dal capovolgimento di fronte, aggravato negli Stati Uniti dalla guerra commerciale di Donald Trump con la Cina, perché la crisi, con la ripresa della domanda, è subito diventata totale. Non sono venuti a mancare solo i microchip di qualità con prezzi da cento a migliaia di dollari (i cervelli elettronici delle auto), ma anche e ancor di più i modestissimi display driver, che trasmettono le informazioni base per illuminare uno schermo (e anche le auto hanno schermi sempre più grandi) e costano un dollaro. Come le mascherine insomma.
Solo che, a differenza delle mascherine, la capacità produttiva di semiconduttori, chip e microchip non può essere avviata in poco tempo e con la ripresa tutti i nodi sono venuti al pettine. Da tempo poi, le case automobilistiche che da tempo hanno adottato lo just in time di Toyota (peraltro uno dei produttori meno esposti alla crisi) affidandosi a magazzini sempre più snelli.
La ripresa è stata fulminea. Hertz, per esempio, che aveva comunque resistito nel resto del mondo, si è ripresa e naturalmente ha dovuto ricostruire gran parte della flotta. Già a fine a maggio sempre negli Stati Uniti, le società di noleggio sono state costrette a comprare auto usate, i cui prezzi in un anno sono cresciuti di oltre il 50 per cento. Se finalmente sono arrivati i guadagni per venditori e concessionari, per le case automobilistiche si sono imposte scelte difficili: General Motors ha temporaneamente eliminato sistemi come lo Start & Stop, ma soprattutto è stata superata da Toyota nelle vendite, prima volta per un produttore straniero su suolo americano. Ford ha dovuta rallentare la produzione e decidere quali modelli produrre per primi, sacrificando la gloriosa Mustang (quella vera, non quella elettrica). E in Europa le cose non vanno meglio.