Il n°1 di Federacciai spiega le pazzie della politica sull'ambiente
“Serve un fondo europeo per la transizione industriale, l’Europa non può rinunciare alla sua industria”, ci dice Alessandro Banzato
“Serve un fondo europeo per la transizione industriale, l’Europa non può rinunciare alla sua industria”, parla chiaro Alessandro Banzato, presidente di Federacciai, a proposito del pacchetto Fit for 55 che mira a ridurre del 55 percento le emissioni di Co2 entro il 2030. “L’Europa corre troppo ma con queste fughe in avanti rischiamo di farci male. Noi, come produttori di acciaio, siamo favorevoli a un percorso di decarbonizzazione purché sia graduale e sostenibile. Con le novità di Fit for 55 uccidiamo l’industria”.
Diversi punti vi toccano da vicino, partiamo dai certificati per l’emissione di Co2: termina l’epoca del rilascio gratuito, dovrete cominciare a pagarli anche voi. “La dissolvenza degli Ets gratuiti (Emissions trading system, ndr) è troppo veloce, nelle modalità che indica la Commissione Ue non è accettabile. Il passaggio repentino a un sistema di certificati a pagamento, esteso a un settore come il nostro, rischia di avere conseguenze esiziali. Come ha dichiarato il mio predecessore alla guida di Federacciai (Antonio Gozzi, numero uno di Duferco, ndr), per realizzare entro il 2030 gli obiettivi di decarbonizzazione posti dall’Ue i settori cosiddetti ’hard to abate’ dovranno spendere qualcosa come 15 miliardi di euro. Siamo disposti a farlo ma serve un fondo europeo che supporti economicamente i comparti industriali nel percorso di decarbonizzazione, altrimenti arriveremo morti al 2030”. Il governo ha manifestato attenzione alle vostre richieste.
“Abbiamo ascoltato parole di buon senso da parte dei ministri Giancarlo Giorgetti e Roberto Cingolani che paiono fautori di un approccio pragmatico, fanno considerazioni corrette che condividiamo. Adesso dobbiamo creare consenso a livello europeo: il commissario Paolo Gentiloni ci ha ascoltato e ci ha assicurato che il pacchetto Fit for 55, nella sua versione attuale, vale come punto di partenza di una discussione più ampia ed estesa”. Nota dolente è pure l’introduzione di un nuovo meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (Carbon border adjustment mechanism, ndr) che fisserà un prezzo del carbonio per le importazioni di determinati prodotti per garantire che l’azione ambiziosa per il clima non porti alla rilocalizzazione delle emissioni di carbonio in paesi più permissivi. “Di fatto, con il Cbam in fase di rodaggio da qui al 2025 si applicherà un dazio sull’import di prodotti come acciaio, cemento, ferro, alluminio. Il rischio è che ciò penalizzi la competitività delle imprese europee: si introduce un dazio senza prevedere un supporto all’export. Nel 2020 l’Italia ha importato acciaio per circa 11,4 miliardi, con un calo del 28 percento rispetto all’anno precedente, e ha esportato per 14,5 miliardi. L’Europa sembra dimenticare che soltanto il 9 percento delle emissioni di Co2 nel mondo proviene dal nostro continente. Ci sono paesi dove c’è assai meno attenzione verso il problema. Allora noi diciamo: va bene il ruolo di apripista ma non possiamo tagliarci fuori dalla competizione globale”. A lamentarsi non è solo l’acciaio: per il presidente di Anfia Paolo Scudieri, metà dei 300mila posti di lavoro nel settore auto e componenti andranno perduti. “Il problema delle filiere è reale. Stefano Bonaccini ha evidenziato il pericolo di distruggere un comparto d’eccellenza come la Motor Valley in Emilia Romagna”. Che mi dice del ricorso all’idrogeno nei processi di decarbonizzazione interni alle acciaierie? “Servono ingenti investimenti per sviluppare le nuove tecnologie: siamo disposti a investire purché il peso non ricada unicamente sulle nostre spalle. Si tratta di innovazioni con tempi di sviluppo e implementazione lunghi. Nell’attesa che l’idrogeno diventi il vettore del futuro, siamo disposti, per esempio, a investire in biogas e biometano, oltre che ovviamente nell’elettrificazione da fonti rinnovabili. Diciamo sì alla transizione ma l’Europa ci supporti, non solo a parole”.
tra debito e crescita