Il presidente cinese Xi Jinping (Ansa) 

La stretta di Pechino sull'istruzione privata. Parla Tentori (Axa Im)

Mariarosaria Marchesano

In Cina sono stati vietati gli insegnamenti a scopo di lucro nelle materie scolastiche di base e limitati e gli investimenti privati in un settore che vale circa 120 miliardi di dollari

Un’onda d’urto alle Borse cinesi è stata provocata ieri dalla decisione del governo di Pechino di intervenire con una stretta nel settore dell’istruzione, colpevole di essere stato “dirottato dal capitale”. In pratica, sono stati vietati gli insegnamenti a scopo di lucro nelle materie scolastiche di base e limitati gli investimenti privati in un settore che vale circa 120 miliardi di dollari ed è rappresentato da colossi come New Oriental Education (quotato a Hong Kong), Tal Education Group e Gaotu Techedu, quotate negli Stati Uniti, i cui titoli hanno accusato perdite fino al 40 per cento.

 

Da Shanghai a Hong Kong, gli indici dei mercati finanziari asiatici hanno perso fra il 3 e il 4 per cento ma non sono riusciti a contagiare le Borse europee e spaventare più di tanto Wall Street perché è stato subito chiaro che lo scossone era provocato più da una questione tutta interna alla Cina che dai timori per la variante Delta o per le previsioni di un peggioramento dell’economia globale. La questione, però, è indicativa delle contraddizioni che vive il paese dopo cent’anni di Partito comunista ed esperimenti sporadici di libero mercato. Secondo Alessandro Tentori, economista e capo degli investimenti di Axa Im, da un po’ di tempo il governo cinese sta intensificando una politica che limita gli investimenti privati che fanno uso della leva finanziaria perché teme che l’esorbitante crescita economica del paese asiatico venga sostenuta da un indebitamento fuori controllo. Insomma, Pechino ha paura delle bolle finanziarie? “Esatto. Si spiegano così le varie restrizioni introdotte nei settori tecnologico, immobiliare e adesso anche in quello dell’istruzione  – dice al Foglio Tentori – ma su quest’ultima riforma pesa anche un cambio di rotta nelle politiche sociali che ha motivazioni profonde. Se si osserva il funzionamento del sistema scolastico cinese, che offre solo all’1 per cento degli studenti l’accesso a università di primo rango attraverso una selezione durissima, si capisce perché negli ultimi decenni le famiglie si siano rivolte a gruppi privati per integrare e migliorare le performance dei propri figli. Questo ha alimentato la creazione di un mercato che si è improvvisamente allargato durante la pandemia con l’aumento della domanda di programmi di istruzione fuori dal sistema scolastico pubblico”. 

 

Ma perché le autorità di Pechino si sono allarmate fino al punto di arrivare a tagliare le gambe delle società del settore e a mandare in tilt i mercati asiatici? Limitando l’accesso alle lezioni ad alcune fasce orarie – sono escluse le ore serali e i weekend – di fatto si distrugge l’operatività di questi gruppi a capitale privato e con attese di profitto. “Le ragioni di questa stretta sono diverse, da quella finanziaria che ha a che fare con la paura di Pechino per la crescita del debito, che, invece, è normale nel mondo degli investimenti, alla necessità di controllare il settore dell’istruzione ritenuto strategico alla volontà di arginare la decrescita demografica. Al contrario di quel che si potrebbe pensare, infatti, la Cina rischia di diventare un paese di vecchi perché le famiglie tendono sempre di più ad avere un unico figlio per timore di non avere sufficienti risorse per crescerne di più. Se sono costrette a destinare una parte del reddito a integrare l’educazione pubblica, spendono di meno in altri consumi e rinunciano ad aumentare la prole”, prosegue Tentori.

 

Difficile, però, che un cambio così repentino nella regolamentazione dell’istruzione, ma lo stesso vale  per l’hi tech e gli immobili, non risvegli l’immagine di un paese ideologicamente avverso al profitto e, quindi, rischioso per gli investitori. “Questo tipo di rischio esiste sempre sui mercati e l’Europa non fa eccezione, per esempio, con i regolamenti bancari. Ma, in effetti, riforme che vietano alle aziende che offrono programmi scolastici di fare profitti e raccogliere capitali danno l’immagine di un paese arroccato e di un ritorno a politiche precedenti agli anni Novanta e, inoltre, capitano in una fase delicata dei rapporti con gli Stati Uniti, in cui si cerca di raffreddare il clima ostile che si è creato durante l’amministrazione Trump. In senso generale, si può dire che la crescita economica cinese non si rispecchia  nell’evoluzione dei mercati dei capitali e degli strumenti finanziari dove gli Stati Uniti hanno il dominio mondiale. Basti pensare che la Cina è la prima economia al mondo e lotta per la leadership tecnologica, ma lo yuan rappresenta solo il 2-3 per cento delle riserve valutarie mondiali. La strada è ancora lunga”.

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