Il Monte vale poco e in Unicredit ci sono dubbi. Il resto è teatrino
L'acquisizione di Montepaschi potrebbe essere più complicata del previsto: il polverone alzato dai partiti non fa il gioco di Orcel e Unicredit, ma nemmeno del governo
Sembrava di assistere alla “Cantatrice calva”, invece erano niente meno che le commissioni Bilancio e Finanze della Camera e del Tesoro. Il ministro dell’Economia Daniele Franco l’altro ieri ha detto chiaro e tondo che “non vi sono le condizioni per mettere in discussione la dismissione della partecipazione” dello stato in Mps; la banca non è in grado di reggersi sulle proprie gambe e l’ultimo stress test della Bce lo ha confermato. Poi è cominciato il teatro dell’assurdo anche se senza la caustica ironia di Ionesco: valorizzare il marchio, guai allo spezzatino, vendiamo cara la pelle, salviamo i posti di lavoro. Gli esponenti dei partiti chi più o chi meno (ieri s’è aggiunto con la sua proverbiale grazia anche Matteo Salvini) discutevano come se ci fosse la fila davanti a Rocca Salimbeni (quartier generale del Monte dei Paschi a Siena) e si trattasse di scegliere il miglior offerente. Invece, la realtà è che c’è un solo possibile (auspicabile per il governo) compratore: Unicredit, il quale pone fin dall’inizio condizioni che possono diventare assai gravose per il Tesoro il quale deve e non solo vuole vendere. Un unico acquirente e per giunta invitato d’onore.
L’amministratore delegato Andrea Orcel ha detto chiaramente al ministro Franco che l’acquisizione non deve intaccare il ratio patrimoniale di Unicredit, quanto a Mario Draghi se ne rende conto da tempo. Del resto, gli azionisti dell’unica banca italiana ritenuta sistemica dalla Bce non fanno certo i salti di gioia, potremmo dire che si dividono tra guardinghi e apertamente ostili. Tra questi ultimi ci sono i fondi di investimento, mentre fa trapelare le sue perplessità anche Leonardo Del Vecchio grande cliente e socio influente, visto che ha contribuito in modo importante alla nomina di Orcel.
Ora comincerà l’analisi dettagliata dei conti e della struttura operativa, può darsi che alla fine anche i più scettici si convincano che Mps sia un boccone digeribile, purché non abbia in pancia crediti deteriorati né spese accessorie come quelle giudiziarie. Franco ha detto che saranno tenute fuori; dei circa 4 miliardi di npl si farà carico il Tesoro (verranno assorbiti e poi smaltiti nel tempo dalla agenzia pubblica Amco fondata con altro nome nel 1989 per salvare il Banco di Napoli). Non solo, il ministro ha specificato che alla fine della transazione il Mef potrebbe diventare azionista di Unicredit, in altre parole parte dell’acquisto verrebbe pagata con uno scambio di azioni, carta contro carta, come dicono in Borsa. Ciò da un lato tranquillizza i soci che non intendono versare denaro corrente dall’altro apre un nuovo fronte perché molti di loro possono torcere il naso nel trovarsi accanto il governo italiano.
Mps verrebbe diviso in due parti e a Unicredit andrà quella buona, ma gli azionisti si chiedono se davvero è tutta buona, cioè se la Banca del Salento è davvero strategica per Unicredit, se tra la Banca agricola mantovana, l’Antonveneta e il radicamento toscano ci sono sinergie. Lo spezzatino rientra dalla finestra? Chi vuole che nulla cambi avrebbe dovuto sostenere da tempo un cambiamento perché il Montepaschi è cresciuto con acquisizioni spesso improvvisate, e ciò non vale solo per l’Antonveneta pagata almeno 3 miliardi di euro più del prezzo di mercato per non restare esclusi dal risiko che nel 2007 aveva coinvolto Intesa-Sanpaolo e Unicredito-Capitalia. Quanto al marchio, è vero che ha una grande storia dietro le spalle, ma per capire quanto vale oggi è meglio dare un’occhiata all’andamento di Borsa. Con una capitalizzazione di appena un miliardo di euro a fronte di un patrimonio stimato sulla carta quattro volte tanto, vuol dire che nessuno compra Mps. Al fronte interno si aggiunge poi quello europeo. Non è detto che Bruxelles accetti gli aiuti di stato sic et simpliciter (bisognerà aumentare il capitale, Franco ha parlato di 1,5 miliardi di euro e c’è la disponibilità di 2,2 miliardi come crediti d’imposta). No, davvero, non si sta vendendo Bulgari o Loro Piana. Draghi e Orcel lo sanno, i parlamentari invece sembrano avvolti nella nebbia della loro stessa propaganda.