Editori
Rupert Murdoch, uno squalo sott'olio
Il suo impero perde pezzi, il vecchio editore non aggredisce più. Perché non ha retto il confronto con il mondo dei social
L’impero editoriale sul quale non tramontava mai il sole è pieno di nubi e sta perdendo pezzi. A 90 anni da poco compiuti Rupert Murdoch non è più lo Squalo di un tempo, ma, volendo insistere con le metafore ittiche, sembra un polipo abbarbicato a una fragile scogliera. Gli editori sono sempre stati simili a impresari teatrali, nessuno dei grandi che hanno fatto la storia era un fine intellettuale, ma tutti conoscevano i gusti del pubblico e avevano il senso dello spettacolo. Una notizia inventata è meglio di una notizia vera, lo diceva Randolph Hearst quando i social media erano fantascienza. Il più grande editore tedesco, Bertelsmann, cominciò stampando il libro dei libri, la Bibbia. Altri hanno fatto successo con le fiabe, molti con la scuola. Poi sono arrivati i best seller, infine anche la letteratura. L’editore impresario è ancora diffuso in occidente come in oriente, negli Stati Uniti come in Giappone, per non parlare della Francia o dell’Italia. Ma alle sue spalle soffia il fiato sulfureo dei nuovi editori senza volto e senza paura, i fondi di investimento, i moderni re di denari. Quando, nel 2019, la casa editrice fondata da Axel Springer, che con la Bild-Zeitung ha segnato la sorte di grandi cancellieri nella Germania ovest e in quella unificata, è finita al fondo americano KKR, anche in Europa è suonata la campana.
Rupert Murdoch è sempre stato un uomo solo al timone. Ha comandato a lungo dal suo jet personale, dall’amato yacht, dalla villa spagnolesca a Beverly Hills con un colpo di telefono. Ha preparato alla successione i due figli maschi, senza pensare davvero che ce ne sarebbe stato bisogno. All’alba del secondo millennio nessuno è più potente di lui nel mondo dei mass media: giornali, televisione, cinema, musica, libri. In Australia controlla il 50 per cento della diffusione giornalistica e Foxtel, una rete con 34 catene televisive. Negli Stati Uniti ha il tabloid New York Post e il settimanale New York, la casa editrice Harper Collins, lo studio cinematografico 20th Century Fox, la catena tv Fox che è la numero quattro su scala nazionale dopo Nbc, Abc e Cbs. In più le squadre di basket, hockey e baseball di Los Angeles. In Asia è presente con Star tv, la principale stazione via satellite. In Gran Bretagna possiede i quotidiani The Times, Sunday Times, Sun e News of the world (quindi è il più grande editore di giornali) la tv via satellite BSkyB. In Germania ha la catena di informazione Vox. Una espansione che sembra non finire mai, poi comincia il declino.
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Nel 2012 i suoi vasti possedimenti vengono raggruppati e divisi in due regni: da una parte giornali e libri, dall’altra il resto. Cinque anni dopo vende alla Disney la 21st Century Fox con il suo immenso catalogo di film, un anno dopo Sky, la tv satellitare britannica, finisce al gruppo americano Comcast. Oggi la News Corp con 9 miliardi di fatturato include Dow Jones & Company che pubblica il Wall Street Journal, News Uk (The Sun and The Times), News Corp Australia, Rea, HarperCollins. La Fox Corporation, che fattura 12 miliardi di dollari, ha come attività principale la catena televisiva via cavo americana, “un pesciolino in un mare di mega-conglomerati” secondo il Financial Times. Rupert e famiglia posseggono il 39 per cento in entrambi i due rami.
Il futuro, dicono gli analisti, è legato alla capacità di Lachlan, 50 anni, l’erede designato, di gestire l’eclissi della tv via cavo e recuperare il tempo perduto nello streaming, perché tra le tante cause del declino – la bulimia editoriale, gli errori indotti dalla passione politica, la successione incerta tra figli ribelli e tante mogli – la più rilevante è il ritardo tecnologico. Rupert Murdoch non ha capito internet e quando l’impatto di questa enorme innovazione distruttrice s’è fatto evidente era già troppo tardi. Lachlan ha acquistato recentemente Tubi, una piattaforma di video in streaming sostenuta dalle inserzioni pubblicitarie, spendendo 440 milioni di dollari (circa 370 milioni di euro). Nel marzo scorso ha detto che Fox News farà “l’opposizione leale a Joe Biden”, facendo saltare sulla sedia l’ala dura della audience trumpiana che l’ha sempre considerata il suo vessillo di battaglia. Niente più guerre partigiane. E’ uno dei molti cambiamenti all’orizzonte.
Il destino dei Murdoch si compie a Gallipoli, nello stretto dei Dardanelli: il 25 aprile del 1915 due divisioni di australiani e neozelandesi, sotto il comando britannico, sbarcano nella penisola con l’obiettivo di prendere alle spalle i turchi e puntare su Costantinopoli. Ma l’esercito ottomano, condotto da Mustafa Kemal che poi diventerà presidente con l’appellativo di Ataturk (padre di tutti i turchi), costringe alla ritirata le truppe anglosassoni. Una disfatta totale e un massacro. E la colpa del fallimento ricade su sir Ian Hamilton, comandante militare che, per un malinteso con l’ammiraglio Robeck, non ottiene la copertura navale. Keith Murdoch è lì, in quel lembo di terra che separa Europa e Asia, unico reporter di guerra a raccontare quel che vede, sfidando prima le pallottole poi la censura perché “i bravi ragazzi australiani furono mandati al massacro dai comandanti britannici che bevevano gin and tonic a tre miglia dalla spiaggia”. Così racconta la sua storia e trasmette all’unico figlio maschio, Rupert, un sordo risentimento contro i Brits e una smodata passione per il giornalismo, in particolare quello popolare, aggressivo, semplificatore. Godendosi a Londra il suo successo, Keith era entrato in relazione con Lord Northcliffe, allora proprietario del Times, il quale quando ancora si chiamava soltanto Alfred Harmsworth aveva fondato un piccolo giornale, Answers, che metteva in prima pagina lo strano ma (non) vero: “Perché gli ebrei non vanno in bicicletta”, “I cani possono commettere omicidio?”, e via di questo passo. Nel 1896 Northcliffe dà vita al Daily Mail, il padre di tutti i tabloid. Nel 1900, invitato da Joseph Pulitzer negli Stati Uniti, rivoluziona la stampa americana con World la cui filosofia è: tutte le notizie in sessanta secondi. Tornato in Australia, Murdoch si lancia sulle orme del suo idolo e mentore. Con enorme successo.
Nell’ottobre 1952 Sir Keith (era stato insignito del titolo nel 1933) muore nel sonno, stroncato dal suo cuore già debole e affaticato. Il castello di carta sul quale regnava si sgretola, restano solo due piccoli giornali locali: l’Adelaide News e il Brisbane Courier-Mail. Da qui il giovane Rupert comincia la sua inarrestabile ascesa.
Ne è trascorso di tempo da quando mostrava orgoglioso agli amici il busto di Lenin sul minuscolo scrittoio, nella stanzetta all’università di Oxford e ogni 21 gennaio, nell’anniversario della morte del suo eroe, rispettava un minuto di silenzio. Murdoch, come molti (la maggior parte), ha cambiato idea. Ma sempre viva gli è rimasta la passione politica, forza trainante della sua rincorsa al successo. Il 1968-69 è anche per Rupert il biennio delle svolte. A 40 anni ha già conquistato una posizione leader nel suo paese dove si era schierato contro la guerra in Vietnam. Adesso giunge l’ora di varcare gli oceani. Intanto, si è separato dalla prima moglie sposata nel 1956, Patricia Booker, hostess di Melbourne, con la quale ha avuto la figlia Prudence nata nel 1958, e ha impalmato Anna Torv, giovane cronista di uno dei suoi giornali, donna molto bella e molto religiosa che sarà la madre di Elisabeth (1968), Lachlan (1971) e James (1972). Le sue opinioni conservatrici hanno contribuito a far abbandonare a Murdoch l’antica simpatia di sinistra, anche se lui sostiene che in realtà la colpa è delle Trade unions britanniche. E, per smentire chi lo accusa di partigianeria, ricorda che con il New York Post ha appoggiato Barack Obama, “una rock star della politica”, così lo chiama, come del resto Margaret Thatcher, Ronald Reagan, Tony Blair e Donald Trump, i leader forti e carismatici che di volta in volta ha sostenuto con i suoi giornali.
Il ritorno in Inghilterra coincide con due grandi colpi editoriali. Il primo è l’acquisto del tabloid domenicale News of the World (circa 6 milioni di copie), che soffia a Robert Maxwell, altro pirata della stampa e degli affari britannici. La sua seconda preda è il Sun, il tabloid quotidiano che contende al Daily Mail il primato con circa 3 milioni di copie vendute ogni giorno. E’ un giornale tradizionalmente legato ai sindacati, che ha bisogno di nuovi impulsi finanziari ed editoriali. Murdoch li dà entrambi: la terza pagina viene dedicata a una bellezza in topless, aumenta lo spazio per i pettegolezzi e la linea politica si sposta decisamente a destra. Con un clamoroso ribaltone, il Sun comincia a sostenere Margaret Thatcher nella conquista del Partito conservatore. La figlia di un bottegaio che porta al potere i bottegai. Per Murdoch è un invito a nozze e la vittoria della Lady di ferro è una vera manna: egli stesso ammette che non avrebbe mai potuto acquistare The Times senza l’occhio benevolo del governo. Soprattutto, non avrebbe potuto realizzare l’operazione Wapping e far fuori i sindacati. Nel 1981, con un’azione rapida e segreta, Murdoch sbarra la vecchia sede, licenzia tutti e si sbarazza della tipografia: in una notte chiude il giornale a Fleet Street e lo riapre nella zona dei vecchi dock in via di riconversione, a Wapping appunto, dove gli immobili costano meno. I sindacati organizzano una protesta e tentano un picchettaggio, ma vengono allontanati senza troppi complimenti dalla polizia inviata dal governo. Stesso metodo, stesso ribaltone anche negli Stati Uniti, dove l’editore si era comprato il New York Post, il secondo quotidiano della Grande Mela (sia pure a gran distanza dal Times). Trasformato in tabloid, lo schiera nella battaglia per il sindaco a favore del repubblicano Ed Koch. Murdoch si fa largo in mezzo al predominio delle tre grandi reti e allo sbarco nel mondo della tv di storici editori come Time che si fonde con la Warner e acquisisce la Cnn. Una legge federale impedisce a un non americano di avere un ruolo di primo piano nella televisione. Rupert prende la cittadinanza e diventa un protagonista della battaglia politica a stelle e strisce, appoggiando ancora una volta l’uomo forte, senza paura di passare da Obama a Trump.
Nel suo libro “Fire and Fury”, Michael Wollf racconta come, fino al 2015, Murdoch considerasse Trump “nel migliore dei casi un clown”. Invece Fox News crea The Donald e prepara la discesa in campo. La conquista della Casa Bianca sembra più proficua persino della operazione Sun-Thatcher, ma si rivela un boomerang e consuma la rottura in famiglia. James all’inizio aveva condiviso lo schieramento pro trumpiano di Fox News, ma non ha retto. Ha seguito la moglie Kathryn nel cammino ambientalista, ha reso Sky “carbon free”, ha investito in start up ecologiste, ha versato ricchi assegni a Biden durante la campagna elettorale e se se è andato per la sua strada, anche se resta nella cassaforte di famiglia che vale circa 17 miliardi di dollari, secondo la rivista Forbes. Il padre ha sempre fatto da arbitro tra i due fratelli e le quattro sorelle, ma fino a che punto?
Se lo erano chiesti tutti già il 21 aprile 1998, quando, dopo 31 anni di matrimonio, Rupert aveva divorziato da Anna. Scrittrice di successo, ha raccontato nel 1988 in un vero feuilleton la storia di una dinastia dei media che si sfalda. Libro profetico. Nell’estate del 1999 il tycoon si risposa con Wendy Deng, 32 anni, una giovane cinese di Hong Kong, giornalista nella sua tv. Sarà amore senile, sarà la nuova passione per l’Impero di Mezzo (pochi mesi prima aveva aperto un ufficio a Pechino), fatto sta che le nozze durano fino al 2013, nascono altre due figlie, Grace (2001) e Chloe (2003), e complicano l’eredità. Un rischio che non corre con la quarta moglie: Jerry Hall, ex fotomodella già maritata a Mick Jagger, la donna che turbava i suoi sogni, finalmente conquistata cinque anni fa. Prudence, la primogenita, è sempre rimasta fuori dal giro d’affari paterno, al contrario dei rampolli di Anna. Elisabeth sposa, con un matrimonio che fa scalpore, l’olandese di origine ghanese Elkin Kwesi Pianim, col quale ha due figli prima di separarsi. Dopo l’apprendistato in California, il padre la piazza a capo dei programmi Sky. Il preferito è il primo maschio, Lachlan. Laureato a Princeton in Filosofia, ha la grinta di Rupert e lo stesso sguardo predatore. Riconosce, tuttavia, di essere soprattutto un gestore, non un mago degli affari o della tecnologia dell’informazione dove, invece, eccelle il fratello minore che vive a Manhattan da quando ha mollato l’università di Harvard nel 1994 per metter su una casa discografica insieme a due amici.
Tra Lachlan e James c’è sempre stata una competizione per conquistare il favore paterno e la successione. La primogenitura non è mai stata in discussione, ma nel 2005 sembra arrivare il momento di James che diventa di fatto la guida operativa di News Corporation e progetta l’espansione verticale della società, cercando di mettere insieme giornali e tv, contenuti video e web. Nel 2011, però, la sua leadership e la sua reputazione precipitano: é costretto a chiudere il tabloid News of the World accusato di aver corrotto agenti di polizia per ottenere intercettazioni e informazioni riservate su personaggi politici e dello spettacolo. I Murdoch padre e figlio debbono rispondere davanti al Parlamento britannico e vengono rosolati sulla griglia dai parlamentari durante un’audizione pubblica trasmessa in diretta tv. La legge del contrappasso colpisce ancora. A James, tornato a New York, tocca gestire la lunga fase che porta al ridimensionamento di 21st Century Fox.
Un boccone amaro dopo l’altro, finché non arriva l’ultima goccia, distillata in due letterine, appena poche righe. “Lascio il board della News Corporation. Le mie dimissioni sono dovute a disaccordi su alcuni contenuti editoriali pubblicati dai giornali della società e su altre decisioni strategiche”, firmato James Murdoch, 31 luglio 2020. “Siamo grati a James per i tanti anni di lavoro nella società. Gli auguriamo il meglio nei suoi futuri impegni”, firmato Rupert e Lachlan Murdoch. E adesso che il vaso dei rancori è traboccato diventa ogni giorno più attuale il fatal dilemma: chi dopo lo Squalo, ma soprattutto per fare che cosa?
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