Elon Musk s’è innamorato di Firenze? Fonti attendibili sostengono che il suo interlocutore non sia in Toscana ma al vertice di Stellantis (foto LaPresse) 

Musk a riveder Stellantis

Stefano Cingolani

E se la vera sorpresa della gita a Firenze del capo di Tesla fosse la transizione green italiana? Le auto, la gigafactory, le batterie. Il rapporto con Tavares. Indizi che per l’Italia il Pnrr non sarà  semplice né indolore

Elon Musk s’è innamorato di Firenze, non poteva essere altrimenti, ma davvero era lì per bearsi degli Uffizi e per mangiare la bistecca più buona del mondo? E la sua meta era proprio la città medicea? Per uno come lui, imprenditore instancabile e visionario, gli affari non finiscono mai. Il sindaco di Firenze Dario Nardella ha evocato i taxi verdi, altri hanno tirato in ballo i viaggi spaziali, per l’impianto di Leonardo a Campi Bisenzio, ma fonti attendibili sostengono che l’interlocutore del geniale imprenditore non si trova in Toscana, bensì al vertice di Stellantis. E qui si apre un capitolo pieno di interrogativi. Il 24 settembre prossimo è previsto che Elon Musk partecipi all’Italian Tech Week di Torino dove dialogherà con John Elkann sulle meraviglie del futuro. Tra i due c’è feeling, dicono i ben informati, ma tra Tesla e Fiat-Chrysler c’era anche un fitto rapporto di scambio ecologico: siccome la FCA produceva pochissime auto elettriche, per rispettare i limiti alle emissioni doveva acquistare crediti verdi da Musk, per una cifra consistente: un paio di miliardi di dollari nel triennio 2019-2021. 

  
In primavera, a fusione avvenuta, Carlos Tavares, il top manager di Stellantis, ha deciso di restituire tutto. “Possiamo farcela da soli”, ha dichiarato. In realtà vuole mani libere per scegliere la sua strategia. E’ lo stesso motivo per cui ha deciso di rimborsare anche i prestiti Covid: 6,3 miliardi di euro al governo italiano e 3 miliardi a quello francese. Per farlo ha aperto una linea di credito di 12 miliardi di euro con 29 banche internazionali. Pagherà interessi più alti, ma non dovrà sottostare ai vincoli imposti da Roma e Parigi. E subito è scattato l’allarme occupazione.

  
I sindacati italiani e quelli francesi temono che sia l’anticamera dei licenziamenti, Tavares l’ha sempre negato, ma mai escluso. Anche il governo Draghi è preoccupato. L’incontro con Giancarlo Giorgetti il 15 giugno scorso si era svolto in un “clima positivo” secondo il ministro dello Sviluppo economico, Tavares aveva confermato investimenti per 5 miliardi di euro a Melfi da dove usciranno quattro nuove vetture elettriche. Tuttavia, le linee produttive andranno riorganizzate in tutti gli stabilimenti. In compenso c’è la promessa di una fabbrica di batterie in Italia. Torino ha offerto la grande area della ex Mirafiori, la sindaca Chiara Appendino e il presidente della regione Alberto Cirio hanno mandato una lettera a Mario Draghi. Tavares ha parlato di Termoli in Molise dove c’è lo stabilimento ex Fiat che produce motori e trasmissioni con 2.500 dipendenti. Aperto nel 1972 ha goduto degli incentivi pubblici per il Mezzogiorno. Valgono ancora? Non è stato precisato se verrà completamente riconvertito o se la gigafactory sarà un nuovo impianto parallelo. Stellantis avrà bisogno di un partner, come Musk per esempio?

 
Sono domande che gettano nuova legna sul fuoco. Non è affatto chiaro il ruolo che potrà avere l’Italia nella filiera dell’auto. Si stima che nel mondo occidentale l’80 per cento delle start-up nate per i veicoli elettrici e il 20 per cento dei produttori di auto tradizionali sono suscettibili di fallimento. Molti produttori di componenti tradizionali andranno fuori mercato, altri vedranno crescere il loro business. Le auto elettriche sono computer con le ruote, avranno bisogno di scocche di alluminio e di aziende che sanno trattare con l’elettricità. Chi produce i piccoli motori elettrici sulle auto termiche potrà riciclarsi rapidamente, ma sono processi lunghi, costosi e accidentati. L’intera Motor Valley lungo la via Emilia verrà scossa e sono nomi come Lamborghini, Dallara, Ducati, Ferrari, Haas F1 Team, HPE Coxa, Magneti Marelli, Maserati e Toro Rosso.
Il ministro Roberto Cingolani è stato sincero: “Nulla è e sarà gratis”. Lo stiamo già vedendo. Per la prima volta da dieci anni, le pale eoliche e i pannelli fotovoltaici sono rincarati. Il prezzo dell’acciaio è aumentato del 18 per cento, quello del rame poco meno e il silicio è addirittura quadruplicato. Oltre il 50 per cento dei costi di produzione di un modulo fotovoltaico sono determinati dai materiali, nel caso di un impianto eolico la quota può arrivare anche al 7 per cento. L’Agenzia internazionale dell’Energia (IEA) ha stimato che la produzione di minerali critici dovrà quantomeno quadruplicare per garantire il fabbisogno. Un generatore eolico è fatto di calcestruzzo, acciaio, polimeri plastici e zinco; un impianto fotovoltaico di silicio, vetro e alluminio; una batteria di nickel, litio, cobalto e terre rare. Il prezzo del litio è già raddoppiato. Pale, pannelli e batterie impiegano acciaio, rame e una decina di altri metalli che oggi vengono prodotti per lo più utilizzando carbone che salirà di prezzo e gonfierà i costi di produzione. L’impatto sociale e politico lo si è già visto con i gilet gialli: è bastato il rincaro del diesel di pochi centesimi per scatenare una jacquerie.
    
    

Più si guarda da vicino il processo in corso più emergono i limiti dello stesso Pnrr. “Se pensiamo di fare la rivoluzione ecologica comprando la tecnologia in Cina, le fabbriche chiudono e la gente prende i forconi - ha ammonito Romano Prodi - Per questo serve un balzo di tutta la nostra struttura produttiva”. Marco Giorgino professore al Politecnico di Milano sottolinea che “nel piano c’è una trasversalità molto ampia, perché i temi della digitalizzazione, della transizione energetica e sostenibile riguardano un po’ tutta la società e l’economia. Ma non emerge nessun settore su cui vogliamo essere eccellenti a livello nazionale ed internazionale”. E poi ci sono le piccole e medie imprese che hanno “un ruolo centrale per il recupero della competitività dell’industria manifatturiera e del paese nel complesso”. Nel Pnrr, dice Mario Calderini direttore del centro di ricerca Tiresia, “non vedo grandi traiettorie tecnologiche, forse l’idrogeno è una, ma qualche scelta più coraggiosa poteva essere fatta. Il problema di affrontare la specializzazione industriale c’è”. Così come resta aperto l’impatto sociale della grande trasformazione. I 20 miliardi di euro previsti dalla Ue non sono sufficienti, la pressione sul bilancio pubblico nazionale sarà molto forte e riporterà in primo piano anche il tema delle compatibilità finanziarie che è stato rimosso dalla risposta alla pandemia.  

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