salvare la stagione
La Sicilia che produce chiede più green pass e meno ciance
Un viaggio nell'isola tra ristoratori, imprenditori di Taormina e il presidente di Confindustria, che dice: "Favorevoli all'obbligo vaccinale, il certificato verde è il minimo sindacale". Così l'irresponsabilità di pochi rischia di mandare la regione in zona gialla
Che si tratti di ristoratori, di imprenditori della moda o del numero uno degli industriali siciliani, lo spartito è pressoché identico: vaccini, vaccini, vaccini. “Siamo favorevoli all'obbligo vaccinale. E se questo non si può avere, allora il green pass è il minimo sindacale, una garanzia senza la quale non si supera la pandemia”, spiega al Foglio Alessandro Albanese, presidente di Confindustria Sicilia. Un messaggio, nemmeno troppo velato, a una certa politica per cui quella sul certificato verde sarebbe “una normativa senza senso che sta compromettendo la stagione turistica”, come dichiarato per esempio da Giorgia Meloni, e non è la sola.
In realtà a mettere a repentaglio il turismo e l'estate sono i dati che arrivano dagli ospedali: il 90 per cento dei pazienti attaccati al respiratore risulta non vaccinato. Un problema che si fa più grande in una territorio come la Sicilia, dove la popolazione del tutto immunizzata arriva al 53 per cento, il dato più basso fra tutte le regioni, i contagi - 1.101 ieri - continuano a salire più che in ogni altra parte d'Italia e il tasso di occupazione delle terapie intensive è appena sotto a quel 10 per cento considerato limite d'allerta, prima del cambio di colore. E così le responsabilità di una minoranza, scettica quando non proprio no vax, finiscono così per ricadere sull'intera comunità.
Anche per questo, continua Albanese, “non sono d'accordo con Salvini, Meloni, e comunque con tutta quella politica da cui dovrebbero arrivare indicazioni chiare e univoche. E non si spiega nemmeno come a fare certe dichiarazioni sia proprio chi a parole si era mostrato più attento all'economia. Un discorso che vale anche per i sindacati. Ricercare consenso con dichiarazioni a effetto è quantomeno fuori luogo, è rischioso”. E il rischio, lascia intendere il presidente, è quello di una nuova ecatombe sanitaria, “che non possiamo permetterci, con i conseguenti problemi sociali, oltre che economici. Noi guardiamo alla sostanza e alla ricerca di una soluzione”. Tra gli associati della Confindustria locale c'è ormai una sensibilità comune, “dalle aziende alla ristorazione”, nel ritenere il green pass lo strumento più adatto per contenere gli effetti della variante Delta. “In particolare – dice ancora Albanese – in un momento come questo, quando c'è ancora una stagione da portare a termine, con prenotazioni già registrate fino a fine settembre”.
L'obiettivo insomma è salvare l'estate, una necessità che a Taormina, la perla dello Ionio sospesa tra rocce e mare, conoscono bene. È il caso della famiglia Parisi e delle loro imprese, inaugurate un secolo fa da nonno Don Totò, un sarto, e poi portate avanti da Franco, suo figlio, e dai nipoti Pancrazio e Salvatore che oggi gestiscono 5 boutique e un ristorante di grande pregio nel centro storico. “Il vaccino sarebbe la soluzione migliore”, ci dice Pancrazio Parisi, è lui che principalmente si occupa del settore moda. Racconta che “è ancora presto per dire se il green pass abbia portato vantaggi o svantaggi dal punto di vista economico. Di sicuro garantisce maggiore sicurezza, uno strumento utile, che aiuta tutti”. Dopotutto, è il succo del suo ragionamento, se qualcuno decide di non vaccinarsi, “bisogna agire di conseguenza. Certo, sarebbe stato meglio farlo tenendo maggiormente conto delle differenze tra le attività”.
È lo stesso approdo a cui giunge, pur passando per altri sentieri, il fratello Salvatore a cui è affidata la responsabilità del ristorante Baronessa, quello che 2017, in occasione del G7 che si è tenuto nella piccola località siciliana, ha ospitato il pranzo dei “grandi” del mondo. La musica, anche in questo caso, suona allo stesso modo: “Incentivare la campagna vaccinale, anche con l'obbligo. Poi se la certificazione è l'unica via per non dover chiudere, allora va bene”, è il pensiero del Parisi ristoratore che tuttavia chiede anche “indicazioni univoche da parte della politica e regole chiare sull'applicabilità, sia per i ristoratori che per i clienti, per non rischiare di fare danni”. Più green pass insomma, e magari circolari scritte meglio. Ma questa è un'altra storia, di cui si occuperà, si spera presto, il ministero degli Interni.