Perché la frenata di Toyota fa paura a tutte le auto
Mancano i chip, problema noto. Ma il taglio del 40 per cento della produzione ha un effetto mondiale
Toyota, anche tu? La notizia che il gigante dell’auto giapponese taglierà di 360 mila vetture almeno, ovvero del 40 per cento la produzione a settembre, ha davvero gettato nel panico il mondo a quattro ruote, come dimostrano i ribassi (meno 4 per cento sia ieri che giovedì) che non solo hanno colpito le azioni del gruppo ma hanno contagiato anche il resto del settore, afflitto dalla fame dei preziosi, introvabili chip: lunedì resteranno chiusi in nord America diversi impianti di Gm, mentre Ford dovrà fermare le linee del pickup F-150, uno dei suoi modelli di punta. Anche Stellantis ammette problemi in un paio di fabbriche francesi. E Volkswagen si limita a dire che, di questo passo, non sono da escludere tagli alla produzione alla ripresa dell’attività delle fabbriche tedesche. Salvo far sapere ieri sera che a Wolfsburg, la sede centrale con 60 mila dipendenti, lunedì si ripartirà con un solo turno, mentre Audi prolungherà la chiusura di una settimana.
Insomma il mal di chip è generale, ma in Toyota fa un altro effetto. Per più motivi. Il gruppo giapponese era uscito indenne finora dalla crisi delle forniture di semiconduttori che sta colpendo il resto del mercato. Merito, si diceva, della lezione di Fukushima: dopo quel terremoto che aveva mandato in tilt il cuore delle produzioni a quattro ruote, il gruppo giapponese si è dotato a differenza degli altri di robuste scorte di componenti, soprattutto nell’elettronica. Inoltre, nel mondo dell’auto non esiste un concorrente più affidabile e potente della casa giapponese, il cliente da servire ad ogni costo. E poi, non erano (o forse non sono) pochi quelli che tendono a minimizzare gli effetti di una crisi che gli esperti danno per transitoria, vicina alla soluzione. Al punto che, nemmeno due settimane l’autorevole Fortune si è portato avanti con questo titolo: ”Presto l’incubo non sarà la carenza di chip, ma l’offerta eccessiva”.
Anche per questo le notizie da Toyota City hanno avuto un effetto devastante sulle azioni del gruppo che contende a Volkswagen il titolo di costruttore leader a livello globale. Sta per verificarsi l’impossibile: Toyota staccherà la corrente di 27 linee di produzione in 14 stabilimenti, sia in patria che in Cina, ma anche in nord America, Europa (ove i tagli non superano le 40 mila vetture dell’impianto francese di Onnaing) e in Thailandia, una sorta di ruota di scorta dell’impero che fornisce un milione di vetture l’anno. Una sorta di blackout generale che ha fatto scattare il campanello d’allarme nel settore perché, a ben vedere, la carenza dei semiconduttori è solo un aspetto, seppure il più grave, della crisi del sistema produttivo globale, fortemente decentrato. Alla radice dei problemi della casa ci sono le forniture a singhiozzo dei componenti elettronici prodotti da aziende di Malaysia e Vietnam, altri paesi solidamente agganciati al carro giapponese, ma fornitori anche di altri case in Usa come in Europa. E qui più che la carenza di chip gioca un ruolo determinante il caos della logistica che ha investito il sudest asiatico ai tempi della pandemia e che promette di durare un bel po’.
La carenza di chip, insomma, appare come la punta dell’iceberg ovvero come uno dei tanti colli di bottiglia che stanno complicando la ripresa dell’attività manifatturiera, rallentando investimenti e strategie. Certo, agli occhi degli analisti il rallentamento dell’offerta per cause di forza maggiore è senz’altro meno grave di una caduta della domanda che, peraltro, ha scatenato negli Usa una corsa alle vetture usate con effetti rilevanti sull’inflazione. Ma la carenza di chip (due su tre, per giunta, in arrivo da Taiwan nel mirino della Cina) combinata con i limiti della logistica che deve supportare catene produttive sempre più complesse ma anche più fragili, è davvero un’ipoteca pesante sulla ripresa che passa sempre più spesso dai mari d’Oriente.