Foto Fabio Cimaglia / LaPresse

Basta sindacalismo No vax

“Il Green pass nelle mense è una soluzione giusta”. Parla Cofferati

Nunzia Penelope

“Non si tratta di discriminare, ma di proteggere”, dice l’ex leader Cgil. Il sindacato sbaglia? “No comment”

“Bisogna vaccinare tutti”. Dice Sergio Cofferati che il green pass per la mensa è una soluzione talmente scontata che c’è da stupirsi che si stia ancora qui a parlarne: “Mi sembra una cosa talmente semplice esigere il green pass nelle mense, non so come sia possibile che se ne stia discutendo. E’ la soluzione più ovvia, non c’è da stare a pensarci”. L’ex leader Cgil, poi sindaco di Bologna e parlamentare europeo, ritiene in verità che la vera soluzione sarà, in prospettiva, una legge sull’obbligo vaccinale: “Fino a un certo punto il senso di responsabilità dei singoli ha dato risultati, ma ora mi pare evidente che c’è una quota di contrari ai vaccini che non intende cambiare posizione. Per cui credo che una legge ci vorrà. Nel frattempo, rendere obbligatorio il green pass in tutti i luoghi di presenza pubblica, quindi anche nelle mense, è una buona soluzione”.

 

I sindacati, però, sostengono che le mense non sono equiparabili a un luogo pubblico, a un ristorante. Lei che ne dice? “E’ la stessa cosa: in entrambi i casi ci si siede a tavola senza la protezione della mascherina. Le sembra possibile che se la domenica sera vado a cena con la mia famiglia devo esibire il green pass, mentre il lunedi mattina, sul posto di lavoro, mi siedo a mensa accanto al primo che passa, senza il diritto di sapere se è vaccinato o meno?”. Dunque chi sostiene che così si discriminano i lavoratori ha torto?Non si tratta di discriminare, ma di proteggere”. In quest’ottica, non sarebbe allora necessario anche il green pass per accedere al luogo di lavoro? “L’obbligo per la mensa è già un forte stimolo, un provvedimento transitorio che spinge nella direzione giusta, in attesa che si faccia una legge sui vaccini obbligatori”. Ma questa maggioranza è in grado di approvare un provvedimento così delicato come un obbligo vaccinale? “Ci deve almeno provare”.

“Se la tendenza positiva dei vaccini rallenta come vediamo in questi giorni – dice Sergio Cofferati – il governo avrà un problema politico enorme. Il rischio che riparta il Covid è molto più di un rischio, aggravato dalle varianti e da tutto quello che sappiamo. Nell’interesse della comunità, inclusi gli stessi No vax, chi non vuole vaccinarsi va costretto a farlo”. Ma secondo lei perchè Cgil, Cisl e Uil hanno questa posizione così intransigente sulle mense? Cofferati replica che d’abitudine non commenta le scelte sindacali: “Non lo so, mi occupo d’altro”.

E tanto meno quelle che riguardano la Cgil: “E’ una questione di rispetto”. Per cui è inutile chiedergli la sua opinione sulla (apparente, almeno) assenza di dialettica interna rispetto alla linea della segreteria generale. Eppure, l’ex leader di dialettica interna ne sa qualcosa: alla guida del primo sindacato ha dovuto fronteggiare questioni fortemente divisive. Otto anni iniziati nel 1994 in parellelo con il debutto del governo Berlusconi e lo scontro sulle pensioni che ne seguì, assieme alla scoperta che gran parte della base sindacale aveva votato il Cavaliere.

Seguirono gli anni dell’avvento e poi della caduta di Prodi, i sacrifici richiesti per entrare nell’euro, la riforma delle pensioni con l’introduzione del contributivo. Per non dire dello scontro feroce con i vertici del partito, l’allora Pds, fino alle botte da orbi con il D’Alema premier, che lasciarono attonita la Cgil: “mamma” e “papà” che si menavano fendenti a mezzo stampa, e i dirigenti sindacali schierati sui due fronti, chi di qua, chi di là. Anni pesanti, senza una pandemia di mezzo, certo, ma non per questo meno complicati. Tuttavia, la dialettica tra i sindacati, e nella Cgil in particolare, non era mai mancata, a differenza del silenzio siderale che avvolge oggi la confederazione e le confederazioni. Cofferati non commenta, al massimo suggerisce: se è vero, come ha rivelato il segretario della Fim-Cisl Roberto Benaglia, che nei luoghi di lavoro ci sono ben cinque milioni di non vaccinati, osserva, “allora il sindacato ha un serio problema. E di provvedimenti per arginarlo farebbe bene a chiederne più d’uno”.
 

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