Arnaud Lagardère (foto d'archivio Olycom)

editori - 4

L'ultimo metrò di Arnaud Lagardère

Stefano Cingolani

La guerra dell'imprenditore francese per non farsi scippare la storica casa editrice Hachette da gruppi del lusso e finanzieri

Il primo fabbricava missili e arei da combattimento; il secondo costruisce ancora ponti, dighe, strade; il terzo ha cominciato con la carta per sigarette poi è diventato il “vicere della Françafrique”; il quarto produce jet di lusso come il Falcon. Lagardère con Hachette, Bouygues con Tf1 il primo canale tv, Bolloré con Vivendi, Dassault con Le Figaro, hanno in mano i grandi media transalpini, e nessuno di loro è un editore di mestiere. Per sostenere Le Monde è intervenuto Matthieu Pigasse chiamato “il banchiere rock”, insieme a Pierre Bergé (compagno di Yves Saint Laurent) e Xavier Niel (fondatore di Iliad); persino Libération, la bandiera gauchiste fondata da Jean-Paul Sartre, è stata salvata prima da Édouard de Rothschild poi da Patrick Drahi l’imprenditore franco-marocchino che s’è arricchito con le telecomunicazioni. Nell’universo librario resta in campo Gallimard, dal 1911 a oggi azienda di famiglia che può contare su un catalogo con i più grandi scrittori francesi e internazionali. Nei giornali c’è solo Philippe Hersant, figlio di Robert detto “le papivore” perché divorava ogni foglio stampato, giovane socialista poi fascista e antisemita, per 22 anni deputato di volta in volta gaullista, centrista, liberal-democratico, ultimo editore vecchia maniera; l’erede ha dovuto mollare il gioiello della corona, il Figaro, è rimasto però padrone assoluto dei quotidiani locali. Chiamatela pure exception culturelle, ma in Francia, dove l’arte della stampa è da secoli strettamente intrecciata con la politica e gli affari, è diventata la regola. 

 

Arnaud Lagardère: chi è l'imprenditore che ha in mano i media francesi

 

Tra le “illusioni perdute” da Honoré de Balzac, c’era anche il giornalismo che “da strumento è diventato commercio e come tutti i commerci è senza fede né leggi”. Grande scrittore e grande reazionario, pubblicava proprio sugli odiati giornali i suoi romanzoni a puntate dove rivelava il lato oscuro della società borghese. E poche storie come quella della Hachette hanno condensato in se stesse le ombre dietro le luci. L’antica casa editrice è a una nuova svolta, la settima o l’ottava, difficile tenere il conto visto che risorge dalle proprie ceneri non appena si presenta un altro patron. E’ stato così quarant’anni fa con l’arrivo di Jean-Luc Lagardère, accade oggi che attorno al capezzale del figlio Arnaud volano gli sparvieri della finanza e del lusso: Vincent Bolloré, Bernard Arnault, il fondo inglese Amber. 

Tutto comincia nel lontano 1826 con Louis Hachette, un giovanotto di 26 anni nato in provincia, ma cresciuto all’ombra del chiostro di Saint Sèverin, nel cuore del quartiere Latino. Era l’epoca buia della Restaurazione e Louis frequentava la Scuola Normale Superiore, fondata una ventina d’anni prima da Napoleone per formare la classe docente e dirigente. Un bel giorno il poveretto si ritrovò di colpo senza aule né docenti: Luigi XVIII, per odio dei liberali, aveva deciso di chiudere L’École. Era il 1822, in appena cinque giorni tutti gli studenti vennero cacciati, unica magra consolazione un modesto indennizzo finanziario. Louis Hachette mise a frutto quei soldi e quando si presentò l’occasione acquistò una piccola libreria anch’essa nel quartiere della Sorbona, una scelta ardita perché con il ritorno dei parrucconi gli editori avevano scarsa fortuna. Hachette rappresentò invece la classica eccezione alla regola. Cominciò a pubblicare volumi di ogni tipo, ma soprattutto capì che doveva diventare un vero e proprio industriale trasformando il libro in prodotto di massa. L’impresa gli riuscì grazie alla nuova stagione politica. François Guizot che come capo del governo sarebbe stato spazzato via dalla rivoluzione del 1848, quando era ministro dell’istruzione tra il 1832 e il 1836 durante il regno liberal-moderato di Luigi Filippo d’Orléans, aveva introdotto i primi rudimenti di una scolarità di massa. Hachette non si lasciò scappare l’occasione e riuscì a strappare un contratto per la fornitura dei libri di testo alle scuole elementari. Una svolta clamorosa: nel 1826 il capitale era di poco superiore ai 25 mila franchi, nel 1840 superava il milione di franchi. 

Il secondo grande colpo l’editore-imprenditore lo mise a segno nel 1852. In quel periodo le ferrovie cominciavano a espandersi e Hachette si disse che quei poveri viaggiatori imbarcati sui treni per viaggi di ore e ore avevano ben bisogno di qualche svago, libri e giornali per esempio. Niente di meglio, dunque, che venderli negli atri delle stazioni. Dopo una battaglia senza esclusione di colpi con Chaix che stampava gli orari ferroviari, Hachette strappò un contratto con la Compagnie du Nord dei Rothschild e cominciò a costruire la sua rete di “bibliothèques de gare”, un successo durato fino all’era internet. Nascono intanto le prime riviste illustrate da affiancare ai capolavori dei più grandi scrittori francesi dell’Ottocento, da Hugo a Michelet. Le illustrazioni di Gustave Doré li resero popolari e li introdussero in tutte le case. Il primo marzo 1862 Hachette assunse un giovanotto per metà italiano, si chiamava E’mile Zola, doveva tenere i rapporti con la stampa, qualche anno dopo comincerà una fulminante carriera letteraria. Louis Hachette morì nel 1864 lasciando ai discendenti un’azienda in piena espansione, protagonista culturale dalla Bell’Epoque fino agli anni ‘30.

Durante l’ occupazione nazista la casa editrice viene requisita perché rifiutava di pubblicare le opere dei collaborazionisti. Una scelta che si rivela fruttuosa dopo la liberazione. Nella nuova Francia del Dopoguerra arriva la cultura di massa, sfondano i tascabili e la Hachette occupa per prima il mercato, un successo senza precedenti che non è stato sfruttato a sufficienza. La casa editrice prende a vivacchiare sugli allori, con un gruppo di controllo incapace di imprimere una svolta. Il 70 per cento del capitale era disperso tra migliaia di piccoli risparmiatori, occasione d’oro per uno scalatore disposto a spendere i propri quattrini. E così avviene nel 1980, quando acquirenti allora misteriosi cominciano a rastrellare in Borsa le azioni. In dicembre arriva la sorpresa: Hachette passa di mano e il nuovo padrone è niente meno che Jean-Luc Lagardère, l’uomo che controlla la Matra, la più grande industria francese di armamenti in cielo, in terra e in mare. La notizia fa scandalo in borsa, tra gli intellò e tra i politici. Un mercante di cannoni controlla non solo decine e decine di pubblicazioni, ma le Nouvelles Messageries de la presse parisienne, l’impresa che detiene in pratica il monopolio della distribuzione della stampa in tutta la Francia. Le proteste e le polemiche durano a lungo, tuttavia l’arrivo del “patron” di Matra imprime un nuovo impulso alla casa editrice che diventa anche la numero mondiale nei periodici con due icone come Elle e il Paris Match acquisito insieme alla casa editrice di Daniel Filipacchi, discendente da una famiglia di armatori e mercanti veneziani, il quale aveva esordito come fotografo proprio nel settimanale parigino.  

Lagardère, così come gli altri grandi editori europei, vuole creare un vasto gruppo multimediale, presente in tutti i settori delle comunicazioni di massa. Senonché nel 1985 manca il grande obiettivo: Tf1, il primo canale televisivo francese. Il governo decide di privatizzarlo e il primo ministro Jacques Chirac preferisce darlo al più grande costruttore francese e tra i primi al mondo, il suo amico Francis Bouygues. Intanto muove i primi passi La Cinq, la tv di Silvio Berlusconi sponsorizzata dal presidente socialista François Mitterrand e apertamente contrastata dal gaullista Chirac il quale, ad appena un anno dalla nascita, la strappa di mano a Berlusconi e l’affida a Robert Hersant. Il Cavaliere resta in minoranza con un 25 per cento, ma quella che doveva essere la prima tv commerciale in terra di Francia non decolla e nel 1990 chiude le sue disavventure. Il buco finanziario è ormai colossale, Hersant si ritira, Berlusconi non ha intenzione di svenarsi, così entra in campo Lagardére in veste di cavaliere bianco. Il salvataggio dura un anno nel quale i conti peggiorano al punto da rendere inevitabile chiudere i battenti. In soli dodici mesi si è accumulato un deficit pari a 240 miliardi che rischia di trascinare nel baratro la stessa Hachette. Per evitare il peggio, Lagardère decide di fondere Matra e la casa editrice, creando una singolare conglomerata che va dalla difesa all’editoria. Finché nel 1999 sigla una accordo con il governo francese e abbandona aerei, missili, spazio: l’intero settore confluirà nell’Eads, la società europea che produce l’Airbus. L’irrompere di internet introduce novità, ma non cambia la sostanza. Nel 2000, Hachette Distribution Services crea Relay per vendere prodotti stampa nelle aree di trasporto e si lancia nel mondo della tv digitale insieme a Canal+, nel  2001 acquisisce il marchio Virgin Stores ed i punti vendita Virgin Megastores in Francia. Hachette Filipacchi Médias prosegue il suo sviluppo con una partecipazione del 42 per cento nel Gruppo Marie Claire. Un anno dopo interviene nella conglomerata Vivendi in profonda crisi.

Jean-Luc muore nel 2003 e lascia le redini al figlio Arnaud, subito costretto a vendere l’intera partecipazione in Renault così come le sue attività di ingegneria automobilistica. Nel 2004, il gruppo acquisisce il 40 per cento di Editis (la ex-Vivendi Universal Publishing). Si mettono di mezzo l’antitrust e la commissione europea, Lagardère deve vendere buona parte della sua partecipazione al fondo Wendel che la cederà alla spagnola Planeta. E’ il punto di svolta, poi cominciano i guai. 

La situazione si fa particolarmente grave nel 2011, l’anno in cui l’euro rischia di crollare. Il 28 marzo Lagardère vende le sue attività legate alle riviste (102 in totale) agli eredi di Randolph Hearst (il mitico Citizen Kane). L’operazione prevede un accordo quadro di licenza per il marchio Elle nel mondo intero. Alla presidenza della Repubblica c’è Nicolas Sarkozy legato da lunga data alla famiglia, per il quale “Arnaud è più che un amico, un fratello”. Al punto che nel 2020, ormai fuori dalla politica attiva, entra nel consiglio di amministrazione per salvare il gruppo e il suo patron grazie a una rete, scriverà Libération, che dalla Francia porta in Qatar. E’ proprio Sarkozy a far entrare Vincent Bolloré, con la beata speranza che possa sostenere Lagardère. Invece…

 

Vincent Bolloré e la scalata ad Hachette

 

Intanto nel castello ben protetto della editoria francese penetrano i cavalieri di internet. Bolloré lo ha capito: preso il controllo completo di Vivendi, valorizza l’americana Universal, una delle tre più grandi etichette musicali, poi cerca di usare la Mediaset di Silvio Berlusconi per creare “una Netflix europea”. L’operazione non gli riesce, sconfitto in Italia, il finanziere bretone si rifà in patria e scala Hachette fino a diventare il primo azionista seguito dal fondo britannico Amber sempre più critico verso la gestione del gruppo. Arnaud Lagardère cerca di mettere al sicuro la proprietà e trova sulla sua strada Bernard Arnault: con la sua holding, l’azionista di maggioranza di LVMH acquista circa un quarto del capitale della assai indebitata cassaforte personale di Lagardère. Fa da mediatore, ça va sans dire, Nicolas Sarkozy. Il 25 maggio 2020 arriva l’annuncio: “Le due famiglie Arnault e Lagardère hanno convenuto di allearsi. Al termine di un aumento di capitale e dell’acquisto di titoli, il Groupe Arnault deterrà circa un quarto del capitale” della Lagardère Capital & Management (LC&M), indica un comunicato congiunto. La holding LC&M aveva debiti per circa 164 milioni di euro nel 2019 in base alle cifre diffuse a gennaio. Vivendi nel frattempo si rafforza ulteriormente. Come indica l’Amf, il “gendarme” della Borsa francese, Vivendi ha già superato la soglia del 15 per cento, Arnaud Lagardère ormai ha perso il controllo, potrà battersi soltanto per mantenere la sua posizione al vertice della casa editrice, disperatamente appeso all’ultimo metrò. Ma fino a quando?

Il nuovo assetto prende forma con l’assemblea generale del 30 giugno. Il gruppo che era guidato da una società in accomandita diventa società per azioni aprendo il capitale che a questo punto risulta diviso tra  Vivendi (27 per cento), Amber Capital (20 per cento), il fondo sovrano del Qatar con il 13 per cento e la holding di Bernard Arnault con l’8 per cento (per il momento). Il primo socio designa tre rappresentanti nel cda, lo stesso numero dei componenti scelti da Lagardère che ha il 7 per cento, ma potrebbe salire fino al 14. Un equilibrio instabile e transitorio. A questo punto, Bolloré, patron di Vivendi, è in grado di influenzare anche le strategie della Hachette, come alleato e rivale, un doppio ruolo che predilige e ha sempre utilizzato nelle sue scalate. Arnaud Lagardère salva il posto di presidente e amministratore delegato, mentre Pierre Leroy sarà suo vice con l’obiettivo di ristrutturare il gruppo e fare cassa o meglio “estrarre valore” come dicono i finanzieri. Ai soci accomandatari della società saranno assegnati 10 milioni di nuove azioni quale corrispettivo per la rinuncia ai propri diritti. Questa “risoluzione amichevole” innesca l’estinzione di tutti i procedimenti giudiziari tra Lagardère e Amber Capital e ciascuna delle loro parti correlate. “Siamo soddisfatti di questo progetto di trasformazione che chiediamo da diversi anni. Questa governance garantirà il corretto funzionamento degli organi di gestione, che è essenziale per il successo e lo sviluppo del gruppo Lagardère”, ha dichiarato Joseph Oughourlian, fondatore di Amber Capital il quale ha confermato che “non vi è ad oggi alcun accordo con gli altri principali azionisti e/o con la società e il suo management in merito all’attuazione di una strategia comune per il gruppo”. 
Stretto tra Amber, Bolloré e Arnault, quali margini restano a Lagardère? Quel patto frutto della debolezza finanziaria, non ha seppellito certo l’ascia di guerra che in francese si chiama proprio hachette: nomen omen dicevano gli antichi.


I precedenti articoli della serie Editori, su Rupert Murdoch, Axel Springer e la famiglia Sulzberger, sono stati pubblicati sabato 7, 14 e 21 agosto.

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