La trasformazione epocale dell'automotive

Ugo Bertone

Crisi dei chip e sete di batterie colpiscono il settore delle auto elettriche. Dal salone della mobilità di Monaco, però, si guarda al futuro

Non ci resta che il futuro. I Grandi dell’auto, a ogni latitudine, fanno i conti nel presente con la penuria di chips che, giorno dopo giorno, costringe i produttori a spegnere gli impianti: a causa dei ritardi nelle consegne quest’anno si venderanno due milioni di autovetture in meno, un’ipoteca pesante sulla ripresa delle economie post pandemia. Ma i guai di oggi sono solo un incentivo in più per partecipare alla gara sulla mobilità futura, il gran premio che deciderà i piazzamenti delle nazioni nella prossima divisione mondiale del lavoro. 


Una partita che si è accesa ieri quasi all’improvviso, in coincidenza con l’apertura del Salone della mobilità di Monaco (Iaa Mobility 2021), ma che impegnerà aziende, governi e lavoratori per gli anni a venire. Per l’occasione, Volkswagen ha lanciato la sfida dell’auto elettrica per tutti, attorno ai 20 mila euro, ma solo a partire dal 2025, oltre alle ammiraglie, Porsche in testa, in grado di far impallidire Tesla: un programma che prevede sei fabbriche, gestite assieme alla partecipata svedese Northvolt, ma anche con la cinese Gotion High-tech. Toyota ha reagito annunciando investimenti per 14 miliardi di dollari nelle batterie, con l’obiettivo di tagliare per prima, entro il 2030, il tragaurdo delle batterie solide, più sicure e di lunga durata. E non è mancata la risposta dalla Corea del Sud, una delle terre dei chip: Hyundai ha annunciato un piano per mettere a punto camion, auto da corsa, droni “e molto altro ancora” alimentati dall’idrogeno. Si muove anche Foxconn, il gigante dell’elettronica di consumo di Taiwan che si è alleato, tra l’altro, con Stellantis. A sua volta Carlos Tavares,  ceo del gruppo nato dalla fusione tra Psa-Peugeot e Fca-Fiat, ha concluso un’intesa con la cinese Svolt, spin-off della Great Wall Motors, che fornirà dal 2023 le batterie alla fabbrica di Saarlouis (ex Opel). Ma l’ambizione di Tavares è di realizzare un prodotto a basso costo (senza cobalto) in grado di essere assemblato su tutte le auto della filiera medio bassa con un risparmio attorno al 40 per cento, una carta da giocare all’interno di un piano da 30 miliardi che prevede una parte italiana, non si sa quanto grande. 


Ma l’elenco di accordi, alleanze e investimenti è quasi infinito: vale per Detroit, alleata con Volkswagen (Ford) ma anche con Hyundai, che fornirà una parte rilevante dei componenti delle nuove Gm. Ma anche per Renault, Daimler e ovviamente Bmw. Per tutti, la miscela di nuove regole da parte dei governi e l’introduzione di tecnologie e materiali, assieme alla pressione della finanza, comporterà alleanze inedite e, per certi versi, rivoluzionarie. L’introduzione dell’elettrico ha spostato le gerarchie in fabbrica, ridisegnando i sistemi di lavoro,  ma anche le priorità aziendali. “La batteria- dice il ceo di Porsche Oliver Blume – ha ormai la stessa importanza che finora aveva avuto il motore”. “Ci hanno messo un po’ a capirlo – è il commento di Jacob Fleischmann, guru di McKinsey – Fino a un paio d’anni fa i ceo mi dicevano che l’elettrico apparteneva a un altro mestiere, da lasciare ai chimici. Ora hanno capito che la differenza la faranno le gigafactory di megawatt assai più della meccanica”. 

E la sfida si allargherà presto su altri terreni, le materie prime in particolare. Il costo di una batteria dipende in media per due terzi dai materiali impiegati, dal cobalto (più costoso, da riservare ai modelli più sofisticati) alle varie leghe di acciaio e manganese per i modelli più cheap. Il tutto nell’attesa della “smart car” che “cambierà per davvero tutto”, assicura Herbert Diess, il numero uno di Volkswagen, convinto che tra meno di dieci anni il 15 per cento del fatturato della corazzata delle quattro ruote sarà legato ai servizi di mobilità e non più all’auto di proprietà. Insomma, un grande (e costoso) futuro che aiuta a dimenticare le miserie del presente, condizionato dalla fame di semiconduttori e dai tagli che il passaggio alle nuove tecnologie rischiano di imporre alla manodopera. Stavolta, comunque, la scossa elettrica c’è per davvero.

Di più su questi argomenti: