Lotta ai vertici
Lo scontro con Mediobanca e il miraggio del Leone finanziario nazionale
Generali cresce troppo lentamente, i grandi azionisti premono per la discontinuità e pressano l'ad Donnet. Ma, in Europa, gli stati proteggono i loro asset
Se due imprenditori di lungo corso come Leonardo Del Vecchio e Francesco Gaetano Caltagirone sono convinti che Generali debba accorciare le distanze con le rivali europee, Axa, Allianz e Zurich, e che per fare questo salto dimensionale sia necessaria una discontinuità manageriale, c’è da dargli credito. Quello che non dicono i due grandi azionisti, che hanno stretto un patto di consultazione sull’11 per cento del capitale in loro possesso, è come Generali possa muoversi da predatore in un campo come quello finanziario-assicurativo in cui le buone occasioni scarseggiano in Italia, figurarsi in Europa dove un po’ tutti i paesi stanno alzando barriere per proteggere settori strategici attraverso la normativa (comunitaria) sul golden power.
La contestazione che viene mossa all’attuale ceo, Philippe Donnet, è che finora la crescita del Leone è stata troppo lenta. Così l’accordo Caltagirone-Del Vecchio – finalizzato a escludere Donnet dalla lista di candidati per il rinnovo del cda di Generali previsto la prossima primavera – suona come il preludio di una grande battaglia finanziaria. Ma che cosa voglia dire esattamente per la compagnia triestina un maggior dinamismo in termini di acquisizioni è una domanda che il mercato si sta ponendo e da cui probabilmente dipenderà l’appoggio degli investitori istituzionali alla sostituzione del francese Donnet, che ad aprile di quest’anno ha ottenuto la cittadinanza italiana conferitagli dal sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro. E, in questa vicenda, l’italianità potrebbe avere un suo peso per spiegare l’escalation degli ultimi mesi. Caltagirone ha espresso disapprovazione per il management in carica non votando il bilancio 2020 e criticando alcune operazioni come l’ingresso di Generali in Cattolica (per motivi di prezzo, pare) e l’acquisizione degli asset di Axa in Malesia. Del Vecchio, invece, invoca da anni la necessità di aumentare il perimetro di Generali attraverso acquisizioni anche impegnative sul piano finanziario per rafforzarne le competitività sulla scena europea. Intanto, le mancate acquisizioni degli asset di Aviva in Polonia (Generali è stata battuta da Allianz) e della rete distributiva di Deutsche Bank in Italia (alla gara erano interessate sia Banca Generali sia Mediobanca, ma l’ha spuntata Zurich) hanno contribuito ad aumentare il malcontento tra soci. Su posizioni simili a quelle di Caltagirone e Del Vecchio ci sarebbero sia la fondazione Crt, sia la famiglia Benetton, mentre a favore della gestione Donnet restano Mediobanca e il gruppo De Agostini.
Tutto questo, però, non ha a che fare con la redditività delle azioni Generali che, sotto la gestione Donnet, è di tutto rispetto anche in confronto alla media dei competitor. Nessuno contesta i risultati, bensì la strategia che, alla fine, sarebbe appiattita sull’obiettivo di assicurare ogni anno un lauto dividendo a Mediobanca, che di Trieste è il maggior azionista e in cui Del Vecchio e Caltagirone sono arrivati a detenere complessivamente circa il 23 per cento (ma non sono rappresentati in consiglio). D’altra parte, proprio con l’operazione Cattolica, Donnet ha dimostrato propensione alla crescita per linee esterne. E allora? E’ possibile che l’acquisizione che si aspettano Del Vecchio e Caltagirone – e non solo loro – sia molto più grande e più di tipo bancario che assicurativo? Chi segue il filo di questo ragionamento arriva fino al punto da ipotizzare una grande aggregazione futura con Mediobanca e Unicredit per la creazione di un campione finanziario nazionale. Ma siamo nel campo delle ipotesi e in futuro si vedrà. Intanto, sulla futura governance del Leone le posizioni in campo sembrano distanti e questo, ipotizza uno studio di Intermonte, potrebbe portare a una conta di voti nell’assemblea di aprile 2022 dall’esito incerto: il blocco Caltagirone-Del Vecchio-Cr Torino-Benetton arriva a detenere il 16 per cento del capitale mentre Mediobanca e De Agostini si attestano al 14 per cento: a quel punto l’esito dipenderebbe dal voto degli azionisti istituzionali che sono accreditati per il 40,3 per cento del capitale mentre un residuo 24 per cento è nelle mani di piccoli soci. Non si può escludere che i due imprenditori acquistino altre azioni in vista del cda del 27 settembre che discuterà la lista dei candidati. E non è affatto escluso che Mediobanca sia disposta ad arrivare al confronto in assemblea pur di difendere il rinnovo di Donnet. La battaglia è solo all’inizio.
tra debito e crescita