Il boom di Lego è una lezione per il capitalismo futuro
Il bilancio record (+140%) ci dice come un’azienda quasi fallita è diventata modello di un nuovo modo di fare impresa
Piccoli architetti in erba. Ma anche adulti che, favoriti dalla stagione dello smart working, hanno approfittato dei soggiorni obbligati tra le mura domestiche per riscoprire le gioie del gioco. Non è facile l’identikit delle migliaia di appassionati che, sotto i cieli della pandemia, hanno tirato su, mattoncino dopo mattoncino, nel salotto di casa il Colosseo, riprodotto da Lego in 9.036 pezzi. Ma sono loro, grandi o piccini, maschietti o bambine i protagonisti di una delle più formidabili storie di successo del mercato globale, una delle poche in cui si integrano commercio elettronico e negozi in centro, esperienza digitale e divertimento manuale. E, tanto per non farsi mancare niente, coscienza ecologica e tecnologia quella che, entro il 2030, farà sì che tutti i vecchi mattoncini saranno rimpiazzati da pezzi prodotti esclusivamente da bottiglie di plastica riciclate.
Sembra facile, ma non lo è perché i nuovi mattoncini firmati Lego dovranno convivere, come colori e qualità, con quelli vecchi in circolazione più o meno da 60 anni, i 75 milioni di pezzi che ogni anno escono dalle cinque fabbriche d’Europa, Cina e Nord America del gruppo danese, assicurando pingui profitti alla gallina dalle uova d’oro controllata da sempre dalla famiglia Christiansen: un chilo di Abs, la plastica che rappresenta la materia prima usata oggi, basta per produrre mattoncini che rendono 75 volte di più.
Anche così si spiegano i segreti di un bilancio record: Lego ha archiviato il primo semestre con un giro d’affari di 3,6 miliardi di dollari, il 43 per cento in più, ma, soprattutto, con un utile di 8 miliardi di corone, ovvero 1,26 miliardi di dollari, il 140 per cento in più di un anno fa: dieci volte il numero due della classifica, l’americana Hasbro. Ma le cifre non bastano a rendere giustizia alla lezione impartita da un’azienda che, anno 2003, sembrava a un passo da un sicuro tramonto, come un qualsiasi produttore di cavalli di legno o trottole destinato a finire in soffitta sotto la pressione dei giochi elettronici. Al contrario, Lego ha saputo reinventarsi senza correre dietro alle mode o smarrire quella carica di creatività che sta alla base del suo Dna ma esaltando le qualità di un paese fondato sul design, sulla tecnologia e il rispetto dell’ambiente. Un po’, azzarda il Financial Times, come ha fatto Orsted, l’azienda energetica danese che vuol essere la più sostenibile del pianeta. Per affrontare una sfida del genere, non basta appoggiarsi alla tradizione o cavalcare le mode. Anzi, al contrario, occorre saper osare, senza aver paura delle innovazioni, come dimostra il negozio bandiera aperto a giugno nel cuore di Manhattan dove, grazie all’utilizzo della realtà aumentata, si può inventare il proprio prototipo di super Mario o di astronave da “Guerre Stellari”. Un modello che, entro pochi mesi, sarà replicato in giro per il mondo in 50 negozi, una parte dei 174 che quest’anno saranno aperti dall’azienda, che ne ha, per ora, 851 con l’obiettivo di salire oltre quota mille l’anno venturo. Altro che modello Amazon. Nei momenti più duri del lockdown Lego ha reagito conquistando il centro delle città, rafforzando la fedeltà dei suoi tifosi, non solo europei o americani. Ma anche cinesi, adottando gli eroi delle fiabe locali, i monaci ribattezzati Monkie Kids che abitano la leggendaria montagna dei fiori e dei frutti.
Il passaggio al digitale e al gioco elettronico è arrivato dopo, senza forzature, sull’onda dei successi dei parchi giochi o dei film, utili a rilanciare il marchio dopo la crisi del 2003/04, in attesa di sfondare presto anche nello streaming. Un modello americano ma non troppo, esaltato dalla transizione all’economia circolare e al rispetto dell’ambiente. Con l’obiettivo di guardare avanti e di investire senza dormire sugli allori “perché – confessa il ceo Niels Christiansen – io sono un po’ paranoico. Prima o poi vivremo un altro anno difficile. Ma voglio arrivarci con la coscienza di poter ripartire subito”. E poi, ci sarà sempre qualcuno che vuol costruire il suo Colosseo.