dopo il via libera alla nadef

Draghi e la politica del Big stick in Europa

Luciano Capone

“Parla gentilmente e portati un grosso bastone”, diceva Roosevelt. E così con la Nadef il governo ha preso, senza clamore, una posizione di sfida nei confronti delle regole europee. La strategia opposta del Conte I, che fece la voce grossa ma tornò da Bruxelles bastonato

Parla gentilmente e portati un grosso bastone (“Speak softly and carry a big stick”), era il principio che guidava l’azione politica e diplomatica di Theodore Roosevelt. E sebbene non sia il momento di sfoderare il bastone, quello del presidente americano sembra essere anche l’atteggiamento di Mario Draghi con l’Europa rispetto alla politica fiscale. In pochi se ne sono accorti perché, come detto, il governo ha espresso il concetto a voce bassa e senza clamore, ma con la Nadef appena pubblicata l’Italia ha preso una posizione decisa e quasi di sfida nei confronti di Bruxelles.

 

In conferenza stampa Draghi e il ministro dell’Economia Daniele Franco hanno presentato con naturalezza una politica fiscale più lasca per il prossimo triennio, dicendo che “l’intonazione della politica di bilancio resterà espansiva fino a quando il pil e l’occupazione avranno recuperato non solo la caduta, ma anche la mancata crescita rispetto al livello del 2019”. Quindi fino al 2024, ovvero quando si tornerà al di sopra del “trend” di crescita pre crisi e non semplicemente al “livello” di pil del 2019. Questa differenza lessicale, che vuol dire spingere sull’acceleratore fiscale anche dopo che, nel 2022, avremo raggiunto il livello di pil pre crisi, è una sfida a un’interpretazione rigida del Patto di stabilità e crescita che, nei termini attuali, prevede di anticipare il consolidamento di bilancio. 

 

Evidentemente, visto il nuovo contesto economico (la consapevolezza che dopo la pandemia molte logiche sono superate o indebolite) e politico (la fine dell'èra Merkel), Draghi ritiene di poter mettere in discussione il perimetro delle regole europee. Presentando queste linee guida di finanza pubblica, l’Italia non ha semplicemente approfittato della confusione per spendere di più, ma intende indirizzare tutta la politica fiscale europea. Nell’immediato stabilendo che per l’anno prossimo c’è necessità di una politica fiscale più espansiva, ma su questo a Bruxelles non ci sono particolari resistenze. Su un piano più ampio, però, l’Italia ha già mosso una pedina nella trattativa su quale dovrà essere fiscal stance europea, una discussione che partirà dopo l’insediamento del nuovo governo tedesco e che dovrà essere conclusa entro dicembre. Ma nel medio termine è anche la prima mossa nel negoziato sulla revisione del Patto di Stabilità e crescita, che resta sospeso ancora per un anno. Sarà difficile ottenere un cambio radicale delle regole fiscali, proprio per la difficoltà di mettere tutti d’accordo, ma ciò che si vuole contrastare è un semplice ritorno delle regole precedenti nel 2023. Il punto di caduta intermedio tra questi due poli può essere lasciare le regole come sono, ma dando un mandato politico alla Commissione per un’interpretazione ancora più flessibile.

 

E’ in questo contesto che, oltre alle parole gentili, l’Italia dovrà portare il big stick. In ogni caso è evidente la differenza di stile rispetto all’inizio della legislatura, quando il governo Conte I (in versione sovranista e gialloverde) sfidò apertamente l’Unione europea con toni aggressivi e finì per fare l’unica manovra restrittiva degli ultimi anni. L’Italia si presentò a Bruxelles con parole grosse e tornò bastonata.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali